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DI PRUNO E VOLEGNO, l’etimologia, le origini, la struttura urbanistica

L’analisi degli insediamenti urbani è utile a comprendere la storia passata e presente delle comunità che li abitano e frequentano. Pruno e Volegno sono tanto vicini da formare un unicum. Analizzare quello che questo unicum, nella diversità dei due insediamenti, rappresenta, implica un discorso più ampio ed articolato sul contesto geografico storico che si spinge a considerare le vicende dell’area compresa fra l’Arno e il Magra con un’attenzione particolare alla Versilia. 

Partiamo da quello che di Pruno e Volegno dicono i testi storici. Nel volume che riguarda le vicende di Seravezza e di Stazzema, Vincenzo Santini tratta dei due paesi in un unico paragrafo: “...San Nicola da tempo antico è la rettoria di Pruno che nella sua cura comprende anche Volegno ed è alla nomina dell’Ordinario mantenuta da un’opera che ha di rendita 182 lire. In questa chiesa vi è la Confraternita del Corpus Domini, ed un legato della famiglia Mazzucchi consistente in tre doti annue di 50 scudi da darsi alle fanciulle di quel Comune. Queste furono lasciate da un Rett. Stefano di tal cognome (vedi Lett.9 .17 .53 Cancell.Micheli). In Volegno è l’Oratorio della Madonna delle Grazie che uffiziato era dalla Confraternita la quale unitamente al Rett. Nominava un curato amovibile ogni 3 anni.” L’Opera Pia Mazzucchi è ancora attiva ed operante, quanto alla parrocchia dal 1991 la Pieve di Pruno, citata nell’elenco delle chiese delle decime lucchesi fin dal 1260, è stata derubricata ad Oratorio, chiesa sussidiaria facente parte della Parrocchia di Volegno, una scelta che contraddice la storia.

Il Repetti li descrive così: Pruno e Volegno nella Versilia. Due cast. riuniti sotto la stessa parrocchia di Santa Maria e San Niccolò nel piviere, com. e circa due miglia a sett. di Stazzema, giur. civile di Serravezza, diocesi e compartimento di Pisa. Siedono entrambi i casali sul fianco meridionale della Pania forata designato col nome specifico di Alpe di Pruno, sopra un vallone sparso di selve di castagni, nel quale passa la strada mulattiera che varca il giogo dell’Alpe Apuana alle fonti di Petrosciana” . E il proverbio ribadisce la vicinanza” Da Pruno a Volegno ci van le donne a veglio”. 

Nel contesto territoriale si nota Pietrasanta, città fondata, al pari di Camaiore, dopo il Mille in pianura e ai piedi di quei monti dove periodicamente i cittadini si ritiravano per scampare alle epidemie e alla malaria. Camaiore e Pietrasanta denunciano la loro identità nella configurazione a scacchiera che le rende estremamente simili. Intorno innumerevoli paesi consolidatisi per lo più nel medioevo: castelli e luoghi fortificati (alcuni prossimi alla Francigena e all’Aurelia con cui la via romea sovente coincide), insediamenti di contadini e, in alto di pastori e boscaioli. Dimostrare quali di questi piccoli centri abbiano avuto origine dai villaggi dei liguri apuani, deportati nel II secolo a.C. nel Sannio dai Romani, come racconta Livio, è piuttosto arduo. I liguri apuani, definiti così dagli storici che ne raccontarono le guerre contro Roma, Livio e Polibio, nel corso del III secolo a.C. occuparono, spinti forse dall’avanzata dei Galli nella pianura padana, il territorio fra Arno e Magra con un sistema di insediamenti d’altura capillarmente diffusi e ben documentati sui due versanti delle Apuane. In Versilia sono collocati in villaggi collinari come Levigliani, Minazzana, Valdicastello e Rocca di Corvaia. A partire dalla seconda metà del terzo secolo a. C., l’avanzata romana nell’estremo lembo dell’ Etruria settentrionale e in Liguria, fu motivo di insicurezza e pericolo per i liguri che,sotto la pressione dei nemici, si ritirarono in siti arroccati come monte Altissimo, monte Gabberi e monte Lieto. Su quest’ultimo e a Valdicastello i Liguri Apuani occuparono luoghi già abitati nell’età del bronzo che, come afferma Livio (XXXIX,32) erano stati “antiquam sedem maiorum suorum”. Sempre Livio (XXXIX, 1), a testimonianza del loro stato di povertà definisce inops regio la terra che abitavano. Gli agglomerati di abitazioni precarie accoglievano comunità dedite all’allevamento, all’agricoltura, allo sfruttamento delle aree boschive e alla caccia. Le necropoli rivelano che , dopo il rito della cremazione, le ossa semicombuste venivano raccolte in vasi cinerari interrati con il corredo funebre all’interno di cassette di pietra formate con lastre squadrate. Le sepolture di Levigliani, Minazzana e Vado di Camaiore, databili al III-II secolo a.C. contengono talora resti di più corpi appartenenti forse alla stessa famiglia. 

Tornando a Pruno e a Volegno, la cui origine apuana è da dimostrare, e conducendo un’analisi secondo categorie finalizzate alla classificazione morfologica, utilizzata secondo quanto G.Dainelli propone in “La distribuzione della popolazione Toscana”, appare chiaro che Volegno è un insediamento  di pendio, disposto cioè sulla pendici dei monti tenendo conto delle favorevoli condizioni di esposizione, di collegamento e di produttività del suolo. Volegno condivide questa caratteristica con Levigliani, Terrinca, Stazzema e Farnocchia. La tipologia di Pruno è invece, come quella di Monteggiori, di centro di costone, definiti rispettivamente: il primo (Pruno) dalla configurazione orografica , dalla cinta muraria il secondo (Monteggiori) e non privi ambedue, nella attuazione, di ricerca di soluzioni estetiche. Tralsciando Monteggiori e tornando ai due borghi dell’Alta Versilia, Pruno e Volegno rappresentano un caso particolare sia perché appartengono a due schemi diversi, sia perché condividono storicamente comunione di vita, interessi e complementarietà. Pruno deriva il suo nome da prunulus, susino spinoso. La prima attestazione risale ad una pergamena dell’804 conservata nell’Archivio Arcivescovile di Lucca. L’antichità del documento è prova che si tratta di un abitato romano, e forse preromano in quanto sono rare le fondazioni nell’alto medioevo se non di castelli e di luoghi fortificati. Pruno non ebbe mai un castello,  e neanche di una torre. Nonostante la presenza di una strada con questo nome non esiste traccia ne’ documento che testimoni l’ipotesi in questo luogo di una costruzione di sicurezza. Pruno ha invece una pieve risalente al periodo romanico (secolo XIII almeno), ciò che avvalora avere la plebs sostituito il compitum del pagus antico. Il compitum è un crocicchio di tre o più strade convergenti, caratterizzato dalla presenza di sacelli votivi dedicati ai Lares, figure della religione romana che rappresentano lo spirito protettore degli antenati defunti. Il termine compitum passa poi ad identificare le stesse edicole sacre. Il verbo "competere" deriva da "cum" e "peto" (andare insieme verso un medesimo punto). Il collegamento tra la presenza di un compitum e la venerazione dei Lares affonda le sue radici nella religione romana arcaica e nell’organizzazione urbana tradizionalmente attribuita a Servio Tullio. I Lares compitalia erano proprio ai crocicchi, laddove la comunità poteva facilmente riconoscersi. Questi luoghi, centri di .aggregazione dei quartieri, sono descritti dalle fonti come piccoli spazi a cielo aperto, recintati e caratterizzati da ingressi passanti, in rapporto al numero di strade convergenti. Il sacello, a forma di tempio e con un’ara al centro, poteva essere accompagnato da sedili per il riposo di chi portava le offerte, da alberi o da piccole fontane. La piazza della chiesa di San Niccolò mostra ancora un sedile, suggerito senz’altro dalla disposizione del luogo. Volegno è menzionato con Pruno in una carta dell’Archivio Vescovile di Lucca, del 1018, posteriore di due secoli alla pergamena in cui è citato Pruno. Ambedue i documenti, al pari di altri coevi, trattano di eredità e vendite di terre, da essi si desume che appartenevano per la maggior parte a chiese e a monasteri. All’atto delle consorterie fra i vari cattanei della Versilia i due villaggi nel 1219 toccarono ai Signori di Vallecchia; nel 1392, come riferisce il Santini, appaiono come due comunità con un ben definito circondario, con i loro consoli e ufficiali. Passando alla Repubblica fiorentina, si dettero un proprio statuto che fu approvato più tardi, nel 1524, l’anno in cui a capo del governo di Firenze fu posto Ippolito de’ Medici. Prima della riforma leopoldina (1769 - 1774) la comunità dei due villaggi si componeva di 84 case e di 84 famiglie per un totale di 514 abitanti. 

Dall’osservazione della loro posizione geografica, immaginando e sforzandoci di leggere il territorio senza la presenza della carrozzabile, realizzata negli anni Settanta, appare che Pruno e Volegno, situati a distanza di voce, stanno quasi di fronte e in linea defilata nel corso di due mulattiere che partono dalla valle facente capo  la strada a Pietrasanta , guardata all’imbocco dai castelli dei feudatari di Corvaia e di Vallecchia. Le mulattiere salgono al passo di Mosceta e da lì discendono verso Castelnuovo e la Garfagnana  toccando anche il paese di Col di Favilla. La composizione di Volegno, estremamente razionale, è formata dalla longitudinale piazzetta interna chiusa e da un sistema di stradicciole che salgono per il dorso montano. In alto, a 500 m. di altitudine (Volegno è a 450) un “logo”di piane con resede, recintato con mura a secco e con accesso scalinato, beve a sua volta il sole. Sul lato a precipizio alcune incisioni rupestri. E, a proposito di graffiti, non vanno dimenticate ne’ le manine incise sul bordo della piazza della chiesa a Volegno, ne’ la casina sulla scalinata della chiesa di Pruno, frutto, come i “filetti” e le iniziali sparse qua e là, dell’impiego del tempo dell’ozio ed anche soluzioni per giochi e gare. E per le fanciullesche competizioni ben si prestavano e prestano le gradinate che, con i voltoloni, caratterizzano Volegno gradina, una rete di percorsi che separa e collega le case, tutte esposte alla luce solare e affacciate sulla valle di Cardoso con pergole e terrazze. L’ingresso delle abitazioni, come per Stazzema, è verso il poggio dove si aprono piccole piazzette infossate. Elevate su un suolo inclinato, le dimore utilizzano lo spazio da basso per stalle, magazzini e fienili (che vanno “letti” cercandone le tracceoltre le recenti ristrutturazioni), le stanze di abitazione si sviluppano in funzione dell’aria e godono tutte di una buona visualità panoramica, risultando, ancorché vicine, indipendenti l’una dall’altra. La rete di stradelle e riccetti rilega armoniosamente l’intero abitato e si conclude a mezzogiorno con una breve piazzetta aperta che sovrasta la valle, dove approda la mulattiera e dalla quale partono i viottoli che portano al bosco e alla cava. Dalla parte opposta il paese termina con la chiesa che si affaccia su una piazza strombata rivolata a terrazza verso Pruno. La viabilità attuale ha rovesciato modalità e punti di arrivo e di accesso. Oggi a Volegno si sale quasi esclusivamente dalla parte della chiesa:la carrozzabile coincide in parte col tratto finale della strada che saliva a Pruno da Cardoso e si spingeva fino a Volegno. La rete di strade era consistente e percorsa con molte varianti. Da bambina, soprattutto in occasione della festa di Ognissanti (in cui si benedicevano e benedicono le tombe dei defunti) ho raggiunto alcune volte a piedi Prunosalendo dalla via principale, quella che da Cardoso passava (e passa, percorsa ora di rado) accanto al cimitero raggiungendolo dalla parte opposta allo sterrato di servizio delle cave, aperto molti anni dopo. In tema di collocazionePruno è situato sullo sprone laterale dello stesso versante montano che accoglie Volegno, due strade, aperte all’entrata costituita da rampe e gradoni (vale per Pruno lo stesso discorso della viabilità attuale rovesciata) involgono il paese a fuso di acropoli e si chiudono in cima con un largo sulla sella del promontorio, la piazzetta centrale, detta l’Aia, da cui partono le strade per l’Alpe e per Mosceta. Le stradine sono oggi in cemento. Mi piace ricordare che mio padre, Matteo Guidi ( 1922-1973 ), si oppose, a ragione, in seno al Consiglio comunale, alla distruzione del manto in sassi sostenendone la fascinosa bellezza. Il nucleo centrale, più elevato rispetto alla piazzetta si distribuisce su tre stradette che salono a zig zag fino alla cuspide. Una di queste è “via della Torre” di cui abbiamo già detto. Le case di Pruno si articolano con rampe e piccoli larghi che emergono con le parti abitate su quelle sottostanti adibite e legnaie, stalle,e cantine. Non mancano neanche a Pruno terrazze e pergolati aperti sulla valle. La forma del nucleo, che dall’alto si legge come ittiforme (un pesce la cui la testa rappresentata dalla chiesa, la coda dalle vie di fuga per l’Alpe), rilevata nel 1958 da Edoardo Detti, fonte di molte riflessioni qui riportate, fa pensare ad un insediamento difensivo privo di cinta muraria esterna, probabilmente riferito ad un precedente pagus. Il nucleo della chiesa con la piazza appare come un’aggiunta che, sorretta da muraglioni, si proietta a mezzogiorno, sul degradare dello sprone. La chiesa, la cui facciata è in blocchi di cipollino, si protende ”a colloquio” con la chiesetta di Volegno, edificata nel XX secolo. Il campanile è arditamente costruito secondo una evidente veduta estetica stereometrica e vanta un ottimo concerto di campane. Il legame fra i due centri è strettissimo, sottolineato in passato dalle condivise attività economiche: la cava, le gualchiere, le ferriere, la selva, l’allevamento. L’abitato di Pruno preesistette a quello di Volegno come fanno supporre le fonti storiche, più antiche, e come testimonia la più esauriente conformazione e qualificazione strutturale. Inoltre: fu Pruno ad avere, in passato, pieve e fonte battesimale. Recentemente si fa passare, chiamando in causa anche una fantasiosa etimologia (Volegno da Belenio, dio del Sole) la teoria che Volegno sia terra ligure apuana. Fantasiosa, appunto. Più credibile, e di buon senso, che Volegno sia una fondazione di abitanti di Pruno o spinti dalla necessità di trovare spazio (e di spazio per allargarsi Pruno non ne ha), o mossi da una volontà scaturita da una lite o semplicemente da un bisogno di autonomia nella vicinanza, elementi, tutti, che non avrebbero avuto modo di realizzarsi se non scegliendo quel pendio assolato, e salutare, come sede. Altrettanto ovvio che non è necessario chiamare in causa il dio Belenio per giustificare l’origine dei numerosissimi paesi qui, e altrove, esposti al sole. Altrettanto ovvio che il commovente e suggestivospettacolo del sole e della luna che sorgono o tramontano nel cerchio del Forato  sono un inno al creato, un bene da condividere e da valorizzare, ma senza elucubrazioni che non hanno fondamento o che, per lo meno, questo fondamento non sono in grado di dimostrare. In aggiunta: la convinzione che i liguri, o altre civiltà, siano “migliori” di altre, merita una discussione sulla misura del “migliore”. In chiave storica “migliore” è un concetto che non ha sede, la contestualizzazione è il primo passo per non cadere in ridicole approssimazioni. Che all’identità versiliese concorrano i liguri non è da mettere in dubbio, come vi concorrono romani ( nella ricerca etimologica perché non tener conto anche delle radici indoeuropea e latina “sforzarsi” e di Volumnus, dio romano minore che attribuisce buone intenzioni a un feto?) ed etruschi, come vi concorre il cristianesimo che ha scandito ogni ora e giorno, ed arricchito il territorio di chiese, oratori, marginette, immagini e sculture  sacre, toponimi ( la scala santa giù a Mezzomare) segni e croci piantate sulle tombe e sulle vette o incise nelle pietre dei ripari, delle soglie, nei muri di casa e di cava.

 

Anna Guidi

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