La storia, come il vino, deve fare la posa.
Settantatré anni sono un periodo sufficiente ad affrontare con sufficiente obiettività l'analisi di un periodo storico duro e doloroso: il periodo del fronte, parola in cui si riassumono, nell'ottica della gente che vi rimase intrappolata, le vicende che riguardano la linea gotica, “fatto storico” che per la complessità degli eventi, come tutto il lasso di tempo che va dall'8 settembre '43 al 25 aprile '45, richiede una ricerca approfondita, l'abbandono di ogni retorica, il riconoscimento dell'enorme e decisivo contributo dato dalle Forze Alleate, e, per quanto riguarda il metodo di indagine, il ricorso a non poche scienze ausiliari: la politologia, la strategia militare, l'economia, la geografia, la sociologia, la psicologia, l'arte militare, l'antropologia....
Nel contesto di una guerra civile, che sulla Linea gotica ebbe un palcoscenico privilegiato, i principali filoni tematici da analizzare sono:
la descrizione della Linea stessa (collocazione geografica e cronologica, aspetti tattici e strategici anche in rapporto alle vicende belliche;
la vita quotidiana di chi visse (o morì) per otto mesi sulla linea o nei pressi: popolazioni locali e migliaia di militari di una dozzina di diverse nazionalità, una convivenza forzata drammatica;
la violenza stragista della strategia militare tedesca.
Quanto al punto primo, la linea gotica fu la linea fortificata difensiva istituita alla fine dell'estate 1944 dal Federmaresciallo Albert Kesserling che - per ostacolare l'avanzata dell'esercito alleato comandato dal Generale Harold Alexander verso l'Italia Settentrionale- intendeva proseguire la tattica della “ritirata combattuta” già attuata fin dai primi sbarchi alleati in Sicilia. Verso la metà del giugno 1944, il Comando delle truppe germaniche decise di cambiarle nome, preferendo quello di “linea verde” per evitare ripercussioni propagandistiche se il nemico avesse sfondato una linea dal nome così altisonante. La linea fu costruita in fretta e furia, utilizzando manodopera locale rastrellata fra i civili e obbligata a lavorare per l'esercito tedesco. Se fosse stata superata la Pianura Padana, le Alpi e la Germania sarebbero state a portata di mano.
La linea difensiva si estendeva dalla provincia di Apuania (Massa e Carrara) fino alla costa adriatica di Pesaro, seguendo un fronte di oltre 300 km sulle Alpi Apuane, proseguendo verso est lungo le colline della Garfagnana, sui monti dell'Appennino Modenese, Bolognese, Pistoiese, l'alta valle dell'Arno, quella del Tevere e l'Appennino Forlivese, per finire sul versante adriatico tra Rimini e Pesaro.
Questo nuovo stallo si sarebbe prolungato fino alla primavera del 1945. La forze in campo erano pressoché equivalenti (500.000 tedeschi contro 600.000 alleati), entrambi gli avversari erano impegnati anche su altri importanti fronti di guerra.
Dal gennaio all'aprile del '45 gli Alleati si limitarono ad una serie di brevi azioni offensive, mentre i tedeschi, benché ancora forti di una ventina di divisioni in Italia, si logoravano sia per la scarsità di rifornimenti dalla Germania, sia per l'azione condotta nelle loro retrovie dalle formazioni partigiane.
Queste ultime avevano corso il rischio di disgregarsi nel lungo inverno del 1944 - a corto di viveri e di risorse, spesso alle prese con dissidi e scontri interni- ma erano riuscite a reggere e passare all'offensiva.
Nei primi giorni dell'Aprile 1945 gli Alleati riuscirono a dare al fronte tedesco la spallata finale. Mentre l' 8°armata britannica, col sostegno di contingenti militari italiani, si mosse verso Bologna, la 5°armata statunitense puntò verso verso Ovest. Il 23 aprile il cerchio si chiuse sul grosso delle unità tedesche: gli Alleati si avvicinarono alle grandi città del Nord. Milano fu liberata il 25 aprile, data della nostra Festa Nazionale.
Come baluardo più avanzato la linea difensiva tedesca correva dalla Versilia alla Valle del Serchio. Un secondo baluardo seguiva il corso del torrente Parmignola da Marinella di Sarzana, a pochi chilometri dalle postazioni della Punta Bianca, fino ad Ortonovo, poi da Castelpoggio saliva sul Sagro e quindi a Vinca, a sbarrare il valico che da Forno di Massa conduce fino alle valli del Lucido e di Vinca. Fu a questo segmento che i tedeschi cercarono di aggrapparsi allorché il fronte venne sfondato ai primi di aprile del 1945 dagli americani. La Brugiana e il Belvedere vennero ad assumere un ruolo fondamentale. Dal primo monte si poteva controllare l'accesso delle truppe dirette ai monti di Carrara, ad est, sul monte Belvedere, i tedeschi avevano piazzato mitragliatrici e cannoni protetti da un campo minato. Il tratto più avanzato della linea partiva dalla Foce del Cinquale, seguiva la parte finale del corso del Versilia fiancheggiato dagli acquitrini del Lago di Porta, toccava i colli di Palatina e del Monticello per proseguire verso Strettoia, Risciolo e il Castiglione, contornare il Monte di Ripa per raggiungere la Rocca e salire, lungo il crinale, sulla Canala, Cerreta, il Folgorito, il Carchio, l'Altissimo e le Panie. Un bastione naturale imponente dove il carsismo agevolava la collocazione delle postazioni. Dalle Panie il tracciato si dirigeva verso le Rocchette, il Grottorotondo, Brucciano, Molazzana, Montaltissimo, Fiattone, Perpoli, il fiume Serchio, Treppignano, Lama e da lì fino ai confini con la provincia di Modena.
Quando la guerra giunse alla Linea Gotica , le sue sorti erano già decise: i tedeschi sulla difensiva, con scarsi mezzi ma determinati nelle azioni di contenimento degli avversari e gli alleati che, dopo le battute di arresto di Cassino e di Anzio, avevano ripreso l'offensiva in Italia.
Lungo il tracciato che divideva gli opposti schieramenti erano impegnate decine di migliaia di soldati di tutte le razze che si affrontarono in continue battaglie. Li distingueva il diverso approccio con la guerra: gli americani avevano una visione ottimista, facilitata dai mezzi a loro disposizione e si attenevano al principio di risparmiare vite umane, i tedeschi invece erano determinati a raggiungere l'obiettivo, senza tener conto di valutazioni umanitarie. Nello schieramento degli Alleati le posizioni degli americani si diversificavano da quelle degli inglesi. Il primo ministro Churchill avrebbe voluto che il fronte italiano fosse tenuto in maggiore considerazione in quanto via più breve per raggiungere il cuore dell'Europa. Le motivazioni di una strategia che coinvolgesse i Balcani erano complesse, andavano dal contenimento delle mire espansionistiche russe, con il chiaro intento di contrastare anche una visione economica e politica opposta a quella inglese, all'opportunità di fiancheggiare da est lo sfondamento della linea Gotica al fine di raggiungere rapidamente la Germania.
I tedeschi intuirono questo piano, che fu vanificato dagli Americani, e potenziarono il contingente militare ad oriente, inutilmente, dato che nella conferenza di Teheran (28 novembre- 1 dicembre 1943) si decise di liberare la Francia muovendo da sud, sette divisioni furono trasferite dall'Italia per predisporsi a sbarcare in Provenza, la V Armata alleata scese da 250 a 153 mila uomini. Sia Churchill che il Maresciallo Alexander concordarono che la campagna di Italia avrebbe potuto finire prima se non si fossero indebolite le forze. Il 4 giugno del 1944 con lo sbarco in Normandia si attuò l'accerchiamento da Ovest, in pochi mesi sarebbe finita la guerra in Italia ed in Europa, poco più tardi nel Pacifico. Ma l'estate del 1944 fu tremenda per le popolazioni della Toscana: da Bardine san Terenzo a Ripafratta ( toccando Valla,Vinca, Tenerano, Guadine, San Leonardo al Frigido, Bergiola Foscalina, Osterietta, Mulina, Sant'Anna, Valdicastello, Capezzano Monte, Pieve di Camaiore, Pioppetti, Massacciuccoli, Compignano, Nozzano, Filettole, Ripafratta) furono più di mille e quattrocento le vittime dall'11 agosto al 16 di settembre.
Nel settembre si consolidò la linea gotica e il confronto fra l'esercito tedesco e quello americano fu diretto: più determinato, incurante e sprezzante del costo in termini di vite umane il primo, più rispettoso dei soldati e delle popolazioni il secondo. Per gli americani la vita era un valore: del resto la loro costituzione, unica al mondo, all'articolo primo, annovera il diritto alla felicità. Culture profondamente diverse dunque, quella tedesca e quella americana, che si confrontano e scontrano nella nostra terra.
Tornando alla cronaca dei fatti: nel Natale del 1944 in Versilia ed in Val di Serchio gli Alleati registrarono una battuta di arresto ed alcuni insuccessi. Per procedere più speditamente si decise di aggregare all'esercito americano soldati di origine giapponese, i nisei, uomini agili e coraggiosi che in questo modo cercavano anche di riscattare la difficile posizione in cui si erano venuti a trovare dopo Pearl Harbour. Nell'assalto del Monte di Ripa e del Folgorito uno di essi, Sadao Munemori, il 5 aprile del 1945, salvò la vita di due commilitoni gettandosi sopra una bomba a mano; venne decorato con la Medaglia d'Onore.
Quanto alla vita delle popolazioni, durissime furono le prove che dovettero affrontare; la vita era più che mai legata ad un filo: rastrellamenti, fame, bombe. Si moriva per cannoneggiamenti ed incursioni aeree, o per l'esplosione di una granata; si moriva mentre si era intenti a far legna nel bosco o a portare la mucca al pascolo o cercar funghi.
Azzano divenne ben presto, per la sua posizione geografica, una meta per chi si spostava da “un'Italia all'altra” , un luogo da raggiungere per sentieri impervi da chi transitava nel varco che metteva in comunicazione le due Italie: quella nazifascista e quella controllata dagli Alleati.
Il percorso sia articolava da Vinca fino ad Antona per, in una prima fase, salire a Campiglia, raggiungere il passo del Pitone e scendere verso Azzano da dove erano dirottati, per la via della Cappella, a Pietrasanta. Minato il sentiero dai tedeschi, il percorso si modificò verso il Passo degli Uncini. Fra l'ottobre del '44 e il marzo del '45 transitarono sulla “via della libertà” circa duemila persone, accompagnate o da guide a pagamento o dai partigiani. A questi spostamenti a lungo raggio si accompagnava il via vai giornaliero di chi, sfollato nelle vicinanze, andava a controllare i propri beni o la cinquantina di persone che ad Azzano rimasero costantemente: una spola continua su sentieri e attraverso i boschi per vivere quel quotidiano che la guerra non cancella ma può brutalmente interrompere per sempre.
Le privazioni ed i sacrifici a cui la gente era abituata decuplicarono, la condizione di sfollati rese difficilissima la sopravvivenza, nell'ottobre del 1944 un'epidemia di tifo, protrattasi fino al 1947, mieté parecchie vittime: una lapide nel cimitero di Basati ne ricorda dieci. Lo sfollamento ebbe varie mete, nonostante fosse stata indicata perentoriamente Sala Baganza. Si preferì monte di Ripa, Tonfano, Capezzano, Montebello, Sant'Anna, Palatina, a Minazzana...meta vicino al paese, quest'ultima, se di zanesi si parla, perchè ci sono le bestie da governare e la casa con i pochi beni da tenere sotto controllo, il corredo tessuto e ricamato chiuso nei cascioni, le posate nella damigiana sepolta nel campo, il raccolto di patate ammucchiato nel solaio. Gli sfollati si affidano alla generosità di chi li ospita, ammassati in una stanza, non di rado nella stalla. L'igiene scarseggia e lo spidocchiamento è il passatempo a fine giornata, si tirano via le lendini con il pettine fitto mentre ci si alambicca per mettere insieme, l'indomani, il pranzo con la cena: tessere annonarie, mercato nero, crampi allo stomaco non per la dieta a punti ma per la fame.
Minazzana è un rifugio ambito dagli sfollati. I tedeschi dalle postazioni della Canala, del Folgorito e del Carchio controllavano Azzano, Fabbiano e Giustagnana, Seravezza e la pianura lato mare; dalle postazioni del Cipollaio e del Corchia monitoravano, oltre a vari paesi dello stazzemese, Basati.
Cerreta Sant'Antonio e Minazzana erano in un cono d'ombra, fuori controllo; un luogo sicuro; pare che Minazzana accogliesse infatti ben seicento sfollati.
Proprio a Minazzana ad Edda D'Angiolo, classe 1933, non venne risparmiata una spiacevole avventura; in visita col padre Giulio ai nonni Ernesta ed Emilio, sfollati da Azzano a Minazzana , fu rastrellata dai partigiani e rinchiusa col padre in un locale a Seravezza, in attesa del trasferimento a Lucca.
Un partigiano, forse intenerito dalla tenera età della bambina, consigliò ai due di sistemarsi, per dormire, vicino alla porta e a notte fonda li fece fuggire.
Non si erano commossi, poche settimane prima, le SS a Sant'Anna, nè di fronte ai bambini, ne' di fronte ai vecchi ed alle donne incinte. Ma nemmeno in questo caso è possibile generalizzare: la famiglia di Ennio Mancini, ad esempio, fu graziata da un giovane soldato delle SS che sparò in aria.
Tornando ad Edda: lo sfollamento fu per lei non solo spavento ma anche scoperta e stupore: come quando nella casetta che l' accolse a Tonfano vide l'acqua uscire da un rubinetto ( ad Azzano si faceva la spola con la secchia alla fontana pubblica ) o ammirò i cristalli di sale raggrumati sul fondo di un coperchio strappato ad una vecchia stufa. Delle “signorine”, al tempo, al pari del Pin di Calvino, non comprese molto se non che doveva starne alla larga. Edda era, all'epoca, “un tetto basso”, come si diceva alludendo a chi non aveva ancora raggiunto l'età per conoscere vicende che avessero a che fare con la sessualità, anche se si trattava di una sessualità che era una scelta dettata dalla fame.
Antonietta ed Emilia D'Angiolo, classe 1926 e 1932, sfollate fin da agosto a Montebello, raggiunsero la destinazione indossando più strati di vestiti, nei fagotti stava pigiata altra roba necessaria alla sopravvivenza. Impararono che “Kartoffel” voleva dire “patate”, la parola con cui i tedeschi, nel logo del Fiume, ne avevano chiesto spesso alla loro mamma.
Le due sorelle non hanno mai dimenticato un altro particolare raccapricciante: la densa nube di fumo salita in cielo un luminoso sabato dell'agosto del '44 , né l'acre odore di carne bruciata. Credettero fossero state uccise delle bestie, mucche. Era ben altro.
Mite Giannetti, classe 1914, sfollò da Azzano con la sorella Carminina e con loro quattro figli. Si fermarono a Gallena per una notte, ospiti di una famiglia a sua volta sfollata. Proseguirono poi per Tonfano dove si sistemarono in un alloggio di fortuna; la sosta fu di breve durata; una cannonata esplosa vicino casa costrinse le due sorelle a raggiungere Lido di Camaiore. Il pensiero andava costantemente ai due genitori rimasti sul fronte ed ai mariti , oltre mare uno, in Germania l'altro. Il 9 gennaio del '45 fu necessario far trasferire la mamma da Azzano all'ospedale di Pietrasanta: le complicazioni della broncopolmonite ne causarono, dopo un mese circa, la morte. Mentre il babbo e la sorella accompagnavano al Cimitero della Cappella la sposa e la mamma, Mite tornava a piedi a Lido dove l'attendevano quattro creature: Vando, Danilo, Augusta, Gioia. Dopo due mesi, quando gli Americani avanzarono definitivamente, fu possibile tornare al paese; un ritorno col pianto negli occhi come alla partenza: la mamma non c'era più, i pochi beni derubati in parte, le bestie tutte sparite, ovunque i segni della guerra. Nel cuore un'unica speranza: rivedere presto il marito. Speranza infranta a breve: era morto sul campo di battaglia, dando l'ultimo contributo alla Patria.
Meno dolorosi i ricordi di Gianfranco D'Angiolo, classe 1937, e di Alfreda Avenante, classe 1934. Gianfranco ha vividi nella memoria le grandi quantità di funghi cresciuti nelle selve attraversate per sfollare a Capezzano. Alfreda era stata colpita dagli occhi celesti, come di vetro, e dalla bionda, quasi efebica bellezza delle SS, in contrasto con il secco rumore di scarponi giganti; i teutonici lasciavano giù per il Cavalletto una profumata scia di colonia fresca. Sono spesso i dettagli - che nulla hanno a che fare con la guerra, per fortuna - a colpire i bambini.
Più ricchi, perchè più grande, i ricordi di Bruno Avenante, classe 1930, che con la sua famiglia ( cinque persone ) rimase ad Azzano. Il padre era occupato nella Todt, (Todi, la chiama Bruno) prima al Cinquale, poi nelle fortificazioni sul Monte Cavallo; lo pagavano con la moneta d'occupazione. Verso la fine di settembre i tedeschi fecero tremare il paese con una forte esplosione: avevano fatto saltare a Menenca un mucchio di tritolo, forse per non lasciarlo agli Americani. Se ne andarono, infatti, per tornare nei primi giorni di ottobre scendendo dalle Cervaiole. Il 18 ottobre, sulla via della Cappella, furono uccisi dai tedeschi Fioravante Giannetti e il nipote dodicenne Almo Amadei. Una lapide in Cità ne riporta i nomi in elenco con altri undici: Rina Tarabella, di 4 anni, la più piccola, Alvise Salini, di 11, Silvio Giorgi, Gino Novani, Francesco Tarabellla, Pietro Mazzucchelli, Vittorio Dunini, Angela Giannetti, Angiola Tarabella, Lorenzo Tarabella, Angelo Giorgi. Sempre sulla via della Cappella fu sterminato dal fuoco amico il primo gruppo di americani ( per lo più di colore, “mori”venivano chiamati )destinato a raggiugere Azzano. Se ne salvò uno soltanto che Carlo D'Angiolo ospitò e curò in casa sua. Gli americani si stabilirono nelle case lasciate libere. La famiglia di Bruno, a quel punto, si spostò in una grotta assai ampia fuori dell'abitato, alle Novellicce. Alla Grotta di Para' erano di stanza i partigiani, fra i quali il Conte Giò. Agli inizi del 1945 anche la famiglia di Bruno tornò in paese nella propria casa, cibandosi di castagne e di scatolette che i soldati neri davano in cambio di qualche incombenza.
Dopo il 1 aprile, giorno di Pasqua, affluirono in paese centinaia di militari che non sembravano americani; erano nisei, giapponesi americani, ma furono scambiati per filippini. I nisei si stabilirono nel salone di quella che oggi è la Pubblica Assistenza ( allora Casa del Fascio ) e nelle abitazioni ancora libere. Il loro comando si riunì con i partigiani del luogo per concertare l'attacco alla cresta del Carchio, attraverso il canale di Novello. Radunati in una piazzetta in Venezia, Bruno ricorda che sfilarono dall'imbrunire del 4 aprile del '45 alla mattina inoltrata del giorno seguente. Diretti a Ponte di Limone, stesero le linee telefoniche lungo la fiancata del monte srotolando grandi rocchetti di filo nero. Bruno ricorda che il canale brulicava di soldati e non ha dimeticato il nome dei partigiani esperti dei luoghi che accompagnarono i nisei: Nicola Folini, Pacifico Luisi detto Sciamino, Idolo Avenante, Aleandro Apolloni, Rolando e Fernando Tarabella, Gelasio D'Angiolo, che fu ferito. Per Bruno la memoria di quegli eventi è cifra dell'intera sua vita; racconta e tramanda, incontra e ricorda. In tempi recenti lo hanno raggiunto ad Azzano due “compagni” di quell'intenso periodo della sua adolescenza: David Katagiri, uno dei Nisei, e Mozzoni Ademaro, un partigiano originario di Riomagno, trasferitosi in Sardegna, che voleva ritrovare il luogo dove, durante l'attacco alla cresta del Carchio, lui e Bruno erano piazzati con la mitragliatrice che copriva la salita al canale del Prato durante l'attacco alla cresta del Carchio. A proposito di presenze in movimento sulla montagna, è sempre Edda a raccontare che in settembre, mentre era presso i nonni nel Foresto, vide dei “fantasmi” scendere dall'Altissimo diretti nella valle del Serra; “fantasmi” perchè biancovestiti, figure risaltanti nelle ombre della sera: erano alcuni prigionieri fuggiti dal carcere di Massa.
E' evidente come le presenze fossero molteplici, troppe se rapportate ad un passato statico dove il tempo scorreva senza apprezzabili varianti. Se la venuta dei neri causò stupore, quella dei tedeschi generò timore. Il rastrellamento e l'arruolamento nella Todt erano presagio di una brutta fine. Le SS incutevano indubitabilmente terrore, significavano morte e deportazione. Intanto dal cielo, dagli aerei alleati, piovevano inviti a raggiungere la salvezza. Con o senza invito aereo, non lo sapremo mai, fuggirono anche i tre alpini lombardi di stanza ad Azzano; un graduato della Monterosa, che il giorno precedente aveva intuito il piano, pose fine al loro tentativo. Tre croci di legno nel Fondo hanno segnato per anni il luogo dell'esecuzione e della sepoltura: tre croci per Carlo Mariani, 19 anni, Franco e Luigi Zampori, 20 e 21 anni, fratelli. Per anni, bambina, vi ho pregato e deposto mazzetti di fiori, come li ho deposti alla croce al Col di Pancola, probabilmente messa a segnare il luogo dove furono uccisi gli americani o dove avvenne, il 23 ottobre del '44, l'esecuzione di Tristano Zekanowsky, vice commissario politico della Brigata “Ugo Muccini”, sceso dal Folgorito e diretto in missione a Viareggio. Un gesto di cristiana pietà, che oggi, più informata, rifarei, se quelle croci ci fossero ancora.
Anna Guidi
10-04-2018 - 12:04:57 Precisa puntuale perfetta, come sempre!!!!! |
10-04-2018 - 13:04:30 Temi interessanti e resi ancor più coinvolgenti dalla tua bravura! Complimenti |
10-04-2018 - 13:04:32 Bellissimo.... non ti smentisci mai! |
10-04-2018 - 13:04:32 Complimenti Anna ottima relazione! |
10-04-2018 - 18:04:15 A guidare i nippoamericani all'assalto era presente anche mio padre Tarabella Duilio |
10-04-2018 - 20:04:28 Pur avendo ascoltato dalla voce di mio padre tante volte i suoi ricordi e le storie vissute nel periodo della guerra, leggendo il tuo articolo mi sono emozionato ancora, brava Anna! |
01-05-2018 - 08:05:30 Complimenti, come diceva mia figlia Marta "La memoria è carta viva", e la memoria va conservata e tramandata. |
26-04-2022 - 00:37:58 Sono una dei nipoti di Luigi e Franco Zampori. Leggere il nome degli zii qui è stata un''emozione incredibile. |
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