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Il teatro ad Azzano

Il teatro è una manifestazione che ad Azzano ha sempre riscontrato consensi- si legge, a firma di Renzo Giorgi, componente della Compagnia teatrale “La Maschera”di Azzano- a pagina 69 della pubblicazione  “Gli Azzano d’Italia 3° Meeting”,  curata da Giovanni Borghini e dalla sottoscritta, in occasione del 3° Meeting ad Azzano d’Asti  delle Comunità Azzanesi nei giorni 5 e 6 settembre 1992. Un gemellaggio lega infatti tutti gli Azzano di Italia, un progetto che, purtroppo, è andato affievolendosi nel tempo. Tornando al teatro, l’articolo prosegue” E’ una tradizione che risale ai primi decenni del secolo; addirittura, alla fine degli anni quaranta, si formarono nel paese due distinti gruppi che si alternavano nelle rappresentazioni; queste avevano luogo nel teatro della Locale Pubblica Assistenza (già Casa del Fascio) e nella Chiesa sconsacrata della SS. Annunziata , adiacente alla Pieve romanica de La Cappella. In seguito il teatro ha conosciuto un periodo di oblio dovuto ad una minore partecipazione e ad un minor coinvolgimento , causati soprattutto dalla diffusione della televisione , entrata a far parte della vita del paese prima grazie all’apparecchio collocato nel bar principale (annesso alla bottega, in via Pianello, di proprietà dei Giorgi-Lariucci), poi alla presenza dello stesso in ogni famiglia. Successivamente, nell’ormai lontano 1974, su iniziativa di alcuni giovani del paese, il teatro tornò ad avere nuova linfa con il G.A.D. ( Gruppo Arte Drammatica) “La Maschera”, che portò in scena commedie brillanti, drammi e, naturalmente, rappresentazioni teatrali scritte dall’indimenticato Maestro Silvano Alessandrini. La preparazione di una rappresentazione è quanto di più esaltante possa esserci per chi ama fare teatro: dalla divisione delle parti- fonte, a volte, di infinite discussioni- alle prove, le liti e le riappacificazioni che uniscono ancor di più, fino al “fatidico” giorno della “prima”. Allorquando la tensione sale alle stelle per dissolversi al primo applauso. Al momento della chiusura del sipario , la soddisfazione è tanta quanto il dispiacere che tutto sia finito e subito ripunta la voglia di ricominciare una nuova, piccola, esaltante avventura.”La Maschera” è arrivata fino ai nostri giorni, pur modificata quasi completamente nei componenti per comprensibili defezioni più o meno forzate dal corso della vita. Chi scrive è l’unico superstite del nucleo iniziale ed ha un ricordo di fatti particolarmente incisivi: serbo ancora memoria circa la prima rappresentazione avvenuta il 28 dicembre 1974, dramma in tre atti di Franco Roberto e così pure la messa in scena dello spettacolo del 1976, quando inviammo una modesta somma- frutto dell’incasso- ad un signore che nel terremoto del Friuli perse tutto. Il nostro intervento non ha certo risolato i suoi problemi ma; ma ha consentito a noi di essere partecipi  di un dramma di così grandi proporzioni. Tutto questo per noi è il teatro. Un modo di stare assieme, un elemento complice di amori e di grandi amicizie, un modo di divertirsi facendo divertire.” Il teatro come forma di aggregazione, di socializzazione e di cultura, presente anche nei borghi più piccoli dove, come si è letto sopra, si poteva, per ragioni di appartenenza, fondare persino due concorrenti compagnie. Anche a Pruno si faceva teatro, mia nonna Brigida Silicani ne era animatrice ed attrice, la zia Imelda ne seguì le orme anche in relativamente recenti stagioni quando, negli anni Novanta, ci fu  a Pruno una ripresa dell’attività per interessamento del professor Piero Bresciani di Pietrasanta.  E un teatrino fu allestito in tempi lontani anche al terzo piano della dimora Papanti-Pelletier a Petrosciana di Sotto; dato lo spessore culturale della famiglia (anche Roberto Cipriani da Farnocchia raggiungeva spesso Petrosciana  per fare salotto e scambiare opinioni ) possiamo supporre che alle recite tradizionali per le festività religiose si sommassero anche rappresentazioni più raffinate. Del resto il teatrino in Petrosciana, di cui non resta traccia, pur destando stupore e ammirazione, ha, per originalità, un concorrente, ancora attivo a cura del FAI, nel minuscolo  gioiello di Vetriano, sempre in provincia di Lucca: un ex fienile trasformato in tempio di Talia,  con tanto di palchetti, perfetto in ogni dettaglio, prova  tangibile di quanto la recitazione fosse amata e curata dalle comunità rurali. Della fortuna del teatro ad Azzano intendo dare una testimonianza che risale  a tempi antecedenti alla narrazione del Giorgi.  Sistemando le carte della casa di Via Castello,  ho trovato il consunto libretto “ PASSIONE DI GESU’CRISTO, commedia del sacerdote Stefano Stefani, aggiuntovi LA VIA CRUCIS  dell’abate Pietro Metastasio”. L’abate Stefano Zucchino Stefani compose la “Passione”nel 1790. La pubblicazione in mano mia, consunta e rilegata in un secondo tempo,  non riporta il nome della casa editrice, in una pagina bianca interna la firma del nonno, Giuseppe D’Angiolo, è seguita dalla data 1925. Da una ricerca negli archivi delle biblioteche teatrali, dallo schedario della Biblioteca don Piercesare De Vecchi, risulta che la Società Filodrammatica di Compertogno, comune della Valsesia in provincia di Vercelli, cataloga il libretto al numero 34, specificando che è stato edito a Firenze nel 1926 dalla Tipografia Adriano Salani. Anche questa edizione, posteriore a quella utilizzata ad Azzano, ha l’aggiunta della Via Crucis di Metastasio ed è illustrata con immagini da incisioni firmate “L.C.”. L’edizione del nonno contiene cinque  illustrazioni siglate “L.C.” . Quanto al sacerdote commediografo, l’abate Stefano Zucchino Stefani di Lucignano, fu Rettore nel Venerabile Seminario di Sezze e Accademico Abbozzato. Lo Stefani è  anche autore di un testo assai conosciuto, edito nel 1752 “ Lo specchio del disinganno per conoscere la deformità moderno costume diviso in sei vegghie fra D.Cile parroco e Proba gentildonna”, dedicato a Sua Eccellenza D.Fabrizio Colonna, Gran Contestabile del Regno di Napoli, & c. 

Fabrizio Colonna ( 1700-1755), figlio di don Filippo, cavaliere del Toson d’Oro, fu presidente dell’Accademia Romana, una delle quattro fondate da papa Benedetto XIV nel 1740. L’accademia presieduta dal Colonna  rientrava nella politica di apertura alle sollecitazioni culturali del momento, voluta dal Papa  Lambertini nello spirito dell’illuminismo cattolico di stampo muratoriano. Il contenuto de “Lo specchio” dove, in apertura, si polemizza subito con il vezzo di consumare , durante il carnevale, caffè, tè e cioccolato, fa supporre che l’abate Stefani non condivida le posizioni “moderniste”. L’uso delle bevande è visto come un prodromo all’ingresso nell’Inferno. 

In merito all’appendice alla commedia, la“ VIA CRUCIS” di Metastasio, va precisato che si tratta di un’attribuzione non veritiera. Orsola Amore, docente all’Università “La Sapienza” di Roma, ha mostrato che i versi cantati tuttora durante le funzioni religiose della Quaresima non furono scritti da Metastasio ( Pietro Trapassi, Roma 1698-Vienna 1782), ma dal sacerdote Luigi Locatelli ( Bologna, 1711-1780).  E’ Lo stesso Metastasio, poeta, librettista, drammaturgo e riformatore del melodramma, a smentire l’attribuzione, da imputare allo stampatore bolognese. 

In una lettera diretta a don Locatelli, datata “Vienna, 26 giugno 1755”, Metastasio scrive: “..Io sono così  poco reo di questo punto ( Locatelli si era risentito dell’espropriazione) che, avendolo ignorato finora, sono esente fin dalla compiacenza alla quale avrebbe potuto sedurmi un error che non mi onora”.  Quanto alla musica che accompagna i versi, alcuni la ritengono opera di autore anonimo, altri di Vincenzo Palmieri (Napoli, 1843-Massafra 1924)

Tornando alla rappresentazione della passione ad Azzano, che avvenne nella settimana santa del 1933 ( la Pasqua cadeva il 16 aprile, dunque si suppone  il 14, venerdì santo)  come racconta Edda D’Angiolo, certissima che la mamma Mabella Giorgi era al termine della gravidanza mentre si rappresentava la prima; LA commedia fu replicata dopo la guerra quando le due compagnie si riunirono, La parte di Gesù fu ancora assegnata a mio nonno. In paese ancor oggi si ricorda, per trasmissione orale, “Polvera” ( questo il soprannome di Giuseppe D’Angiolo) ) inchiodato sulla croce. Anche io di questi fatti  fui a conoscenza, fin dalla prima infanzia, per trasmissione orale. La nonna  Alaide rammentava spesso quando aveva risalito “il Carchio per raccogliere i rovi con cui preparare la corona di spine per il nonno che faceva Gesù Cristo” ed enumerava le ore di tempo ( tante) impiegate “a lavorare con i ferri sottili lo stame color carne per confezionare una tuta aderentissima che il nonno indossò per la rappresentazione della passione e morte di Cristo, sembrando nudo al pubblico in sala” La sala era quella della Casa del Fascio, poi Pubblica Assistenza. Lì  recitava la compagnia di cui mio nonno, Giuseppe D’Angiolo ( 1902-1973), era regista e  primo attore. A mia volta ho indegnamente calcato quelle tavole quando, nel 1963, l’anno in cui frequentai il primo trimestre della quinta ad Azzano ( a Marzocchino la casa era inagibile per l’innalzamento in corso), mi fu assegnata una parte nella recita natalizia che mi vide in scena con Nicla. C’era freddo nel salone e, per necessità di copione, fui costretta ad ingoiare alcune cucchiaiate di minestra in brodo.  Non ricordo altro, ne’ trama, ne’ autore, ne’ parti, solo quelle stelline annegate nella gelatina. 

Quanto alla rappresentazione del 1933, restano, sul libretto, annotazioni  a lapis circa i personaggi e i “testimoni”, divisi in 3 “veri” e 1 “falso” che rimandano all’atto secondo, scena terza: Sinedrio ebraico.  I tre testimoni veri in elenco sono: un cieco nato, languido della Piscina e un lebbroso.  Sono testimoni di tre miracoli narrati rispettivamente in Giovanni 9, 1-41, in Giovanni 5, 1-18 e in Marco 1, 40-45; Matteo 8 , 1-4; Luca, 12-16. Fra i personaggi della scena, spicca Caifasso, Caifa, genero di Anna, sommo sacerdote che ha diritto a sedere nel Sinedrio, nonostante la carica sia passata di mano. Caifa fu sommo sacerdote  di Gerusalemme dal 18 al 36 d.C.,  pare che la durata dell’incarico trovi una giustificazione nella docilità da lui dimostrata verso le autorità romane. Nel racconto evangelico ( Matteo 26, 3 e 57; Luca 3, 2; Giovanni 11, 50, 28, 14 e 24 ) Caifa capeggia l’opposizione del sacerdozio giudaico a Gesù. Davanti a lui, preside del Sinedrio, Gesù compare  dopo l’arresto e quando  si dichiara figlio di Dio, il sommo sacerdote si lacera  furiosamente le vesti urlando: “Egli ha bestemmiato”. Per inciso, Dante ( Inferno XXIII)  collocherà Caifa  fra gli ipocriti dannati nella sesta bolgia dell’ottavo cerchio. Crocifisso in terra con tre pali, si contorce, soffia  e sospira alla vista del poeta, la sua vicenda è narrata da Frate Catalano de’ Malvolti, un’altra anima perduta: ” Consigliò i Farisei che convenia /porre un uom per lo popolo a’ martiri”.

Nel libretto dell’abate Stefani compaiono , nella scena del Sinedrio, anche Nicodemo e Giuseppe, in funzione di difensori di Gesù. Giuseppe di Arimatea, che Marco e Luca riferiscono membro del sinedrio,  pronuncia queste parole: “Aspettar la condanna/ Si dovea; insin che il Tempio/ Distrutto avesse, e a’ rammentati giorni/ Veder l’opra del nuovo; e quando questa/ Accaduta non fosse; allor potea/ Chiamarsi un impostor; ma se mai fosse/ Il prodigio accaduto? Io temo assai/ E lagnarmi non credo, Che ognun di voi cieco saria, qual vedo”. Giuseppe e Nicodemo ebbero un ruolo fondamentale nella sepoltura del Cristo. Ambedue non avevano dimostrato la propria fede fino in fondo per paura dei Giudei. Giuseppe la testimoniò durante il processo, non approvando le risoluzione e gli atti di quella assemblea, e maggior coraggio rivelò quando, dopo la morte del Maestro, si presentò da Pilato per ottenere la sua salma e darle degna sepoltura impedendo che fosse gettata in una fossa comune. Matteo ( 27, 59) riferisce che Giuseppe aveva comprato una bianca sindone. Nicodemo portò aromi, mirra e aloè. I Vangeli apocrifi riferiscono che Giuseppe chiese a pilato il corpo di Cristo prima  della crocifissione e che fu imprigionato e miracolosamente ritrovato libero ad Arimatea. Ad ogni buon conto nella  scena terza del quinto atto del libretto dell’abate Stefani, è Nicodemo che riferisce a Giuseppe i dolorosi particolari  della crocifissione. “A lui di vita / restan pochi momenti. Io nol soffersi/ Di vederlo penar….Ahimè! Giuseppe/ Se tu mai lo  vedesti!…..Ahi! S’è ridotto / Che non ha pure un’ombra/ Del suo primo sembiante!::.. Un simulacro/ Tu vederesti , non d’Uomo, / ma d’uno corpo, cui fosse/ Tolta a pezzi la carne...e lacerato/

Fino dal capo al piè, coperto tutto/ E di piaghe e di sangue...orribil vista/ Che fin dei suoi nemici/ Muove i cuori  a pietà!…..Partito sono, / Ch’a vederlo in tal forma/ L’alma più non reggea.”  

La scena finale  è un colloquio fra Adonia, uno dei sacerdoti che firmato la condanna, pentito del suo gesto, e Nicodemo. Dice Adonia: “Una sol vista, / Che a lui diedi nel punto/ Che egli spirò, quest’alma/ fu trafitta da un dardo/ Così tener, e dolce/ Che mi rapì a me stesso...Onde da morto/ Tanto, a amico, l’amai, Quanto mentre era vivo, ohimè! l’odiai.” E, sempre per bocca di Adonia, gli ultimi versi della rappresentazione suonano così: “...Ecco a qual segno/ Giunto è per noi Gesù, vedete il fine/ Del suo paterno affetto? ( parte, gridando con altri) “ CHI NON  AMA GESU’ SIA MALEDETTO!” L’invettiva dà la misura del temperamento pugnace dell’autore. Del resto il registro si mantiene alto nei toni e nei contenuti delle scene in cui sono protagoniste Maria e la Maddalena.  Dalla scena sesta del Terzo Atto,  Maria: “Figlia, è questo l’affetto Che tu porti al Maestro, e benché santo,/ Regolarlo convien. Unirti a lui/ Nel voler, ti sia caro; egli più stima/ L’union di volontà, che i tuoi sospiri / che i tuoi sospiri / E le lagrime tue; se  di sua morte/ Ei si contenta, devi/ Tu ancora compiacerti/ Della morte che accetta; entro la mente/ Forma un atto sì grande, e dentro al cuore/ Con ben nuda virtù chiudi  il dolore” Maddalena: “ Madre, tu lo puoi far, che forse pria/ Che nascesti, fur teco,/ Le virtù più che adulte. Io solo avvezzo/ Ad affetti profani, ancora appresa/ non ho scelta sì grande...Ah, per pietade / Lasciami lagrimar! Che s’io non piango, /  Se chiudo il duolo in seno, / Tutto il petto mi s’apre...e vengo meno!” Maria: “ Ho pietà del tuo duolo. Oh, quanti in petto/Nutro più gravi affanni! Pure il Cielo m’assiste; Ecco Giovanni.” Come dimostrano questi  i brani il testo era piuttosto ostico e difficile e,  pur non essendo distante dalla sensibilità letteraria del momento, va considerato che ad interpretarlo erano cavatori, carbonai e casalinghe, attori per passione che non avevano tutti terminato il percorso dell’obbligo, elevato dal Ministro Orlando nel 1904 a dodici anni di età. Il nonno, un’ eccezione, aveva potuto frequentare la sesta, classe conclusiva per chi non intendesse o potesse proseguire negli studi, grazie allo zio avvocato Adeodato Gasperetti, che risiedeva  a Strettoia.  Gli altri, quelli che non avevano parenti a cui appoggiarsi per frequentare le classi finali non attive in montagna, si fermavano alla seconda, terza, quarta. Attori, quelli della compagnia del nonno, che, per passione,  dedicavano al teatro il tempo libero da attività faticose, rischiose e impegnative con lo scopo di realizzare uno spettacolo che richiamava una gran folla anche dai paesi vicini.  Resta da considerare che negli anni Trenta un italiano su cento possedeva la radio, e quell’uno non abitava in montagna quasi mai e la televisione era da venire. Il cinema  funzionava a Pietrasanta,( al Poggione soltanto dalla fine della seconda guerra mondiale in poi). Il bisogno di spettacolo, nella duplice forma di attori  e di pubblico, era soddisfatto con le attività della filarmonica, della corale della chiesa, del maggio e del teatro appunto, disciplina somma che compiva il  miracolo di poter assumere identità grandiose, Cristo nel caso, e di trasformare, per amore, una moglie in una costumista e in una  trova...robe pungenti: i rovi per la corona di spine, raccolti di là da fiume, su per il Carchio.

 

Anna Guidi

Commenti

07-01-2020 - 08:01:08
Matteo Varisco

Prova di un commento inviato anche alla casella guidianna1953@gmail.com
Ciao,
Matteo

07-01-2020 - 21:01:15
Olga Tartarelli

Il teatro era una forma di aggregazione e di formazione importante. Meraviglia non poco che in montagna, in quegli anni, si mettesse in scena una rappresentazione tanto complessa, un libretto non facile, come risultato dai brani trascritti. Notevole anche il fatto che si affrontasse un argomento religioso e lo si calasse nella Settimana Santa.
Apprezzo il riferimento alla riforma scolastica.
La sesta equivaleva alle superiori di oggi.

21-01-2020 - 16:01:14
Guidi Giovanna

Il teatro a Pruno era molto sentito. Le recite erano alla Misericordia dove c’era anche un palco con tenda.Mio padre Erasmo Guidi mi raccontava che, dopo il fidanzamento fra mio zio Matteo e Antonietta D’Angiolo di Azzano, la compagnia andò a recitare li. Purtroppo non ricordo cosa

16-02-2020 - 13:02:06
Fausto Tarabella

Anna hai fatto una bell'azione a pubblicare questo articolo. Ritrovare in soffitta un'opera teatrale così lontana nel tempo stimola ricordi e affezioni che inevitabilmente riportano a riflessioni e domande interiori: chi siamo e chi eravamo?
La soffitta di casa tua è la soffitta della nostra anima e il libro impolverato è il nostro cuore chiuso alle emozioni e sentimenti, oramai, da troppo tempo.
Aprirlo è mettere mano alla colonna portante delle nostre anime, è risvegliare il dormiente angelo che si annida là nelle pieghe delle ferite di un cuore arido in attesa di risveglio.
La vita è un teatro, e molte volte è un teatro dell'assurdo.
La stessa crocifissione di Nostro Signore Gesù Cristo è un assurdo.
Come nel libretto "PASSIONE DI GESÙ CRISTO" ogni personaggio racconto ciò che vede in Cristo e nella sua Crocifissione e questo suscita una qualche reazione emotiva forte che pone una riflessione ardua allo spettatore, a ciascuno la sua.
Come in "Testamento di Tito" di De André il cuore si apre alle miserie umane e alla grandezza umile dell'amore di Dio.
Deve essere stato bello vederla rappresentare ad Azzano in quegli anni, immagino il lavoro e impegno dei compaesani già appesantiti dal quotidiano, essi però trovavano il tempo e lo spazio nei loro cuori per guardare a quel Nazzareno Crocifisso per noi tutti.
Oggi dedichiamo poco a quella Salvezza, releghiamo tutto al compimento della felicità del mondo perdendo di vista La Vita Eterna.
In quei tempi tutto era preghiera, il lavorare la terra, l'allevare il bestiame, estrarre il marmo e modellarlo, andare in Chiesa, ricamare, cucinare. Tutto era preghiera ed era preghiera singola e collettiva.
Si sono persi questi modi e questi momenti.
Non penso che sia salvifico vivere di passato e di futuro ma se dal passato arrivano richiami alla trasfigurazione del presente in momenti di riflessione sulle cose del Cielo, allora quel passato va ascoltato e portato in piazza, urlato dai tetti delle case.
Non sarebbe male riprendere questa rappresentazione teatrale e rimetterla in scena ad Azzano.
I richiami del passato ci inchiodano alla Croce delle riflessioni interiori.
Grazie Anna. Con Affetto. Fausto Tarabella.

03-04-2020 - 15:04:23
Adelina Iacopi

Anna, alla mia età' si vive di passato giorno e notte bello e brutto che sia. Ho compiuto ottantotto anni da poco essendo del '32 come la tua cara zia Emilia, ed e'confortante sentire le cose che hai scritto perche' voglio pensare che rimangano testimonianza ed esempio per le generazioni future.Il teatro, la Festa da ballo, la banda paesana che chiamavamo semplicemente 'la musica' e il coro parrocchiale di cui facevo parte con la tua mamma Antonietta e mi sembra giusto ricordarla per il suo timbro di voce potente ed inconfondibile, erano gli unici svaghi che esistevano prima e subito dopo la guerra. Ma era il teatro che coinvolgeva particolarmente la gente di tutte le età sia come spettatori che come attori e il nostro paese avendo un bel teatro nella casa del Popolo ha visto calcare le scene a molti azzanesi e non solo con rappresentazioni quasi tutte drammatiche. Quella che più ha fatto parlare e suscitato ammirazione per la complessità del l'allestimento e la bravura degli attori e' stata 'La passione di Cristo che io non ho visto perché piccolissima ma tenuta a mente dalle narrazioni di due generazioni. Il tuo nonno Giuseppe , Beppe interpretava Gesu', la mia zia Mirella Salini faceva la parte della Madonna e mio padre Gaetano Iacopi era Giusepped'Arimatea. La strada ancora non c'era e nemmeno la TV ma fu un kolossal ! Come ho accennato sopra venivano ospitate compagnie di altri paesi e qui vorrei ricordare in particolare quella dei Prunesi che quando arrivavano sulla piazza di San Michele preceduti dalla loro fanfara e muniti di tutte le attrezzature sceniche venivano accolti con gioia e ammirazione. Erano attori ben preparati e tra questi emergevano principalmente le tre sorelle di tuo padre Matteo, il mio maestro delle elementari, Imelda, Metella e Cristina Guidi interpreti di drammi che strappavano lacrime ed applausi a non finire. Ricordo "La ruota maledetta" con tanto di ruota delle torture e "l'Ammiraglio" con Celeste Silicani nella veste del protagonista piena di medaglie luccicanti. Alla fine delle rappresentazioni per stemperare il clima malinconico che si era creato, gli stessi attori tornavano a rallegrare gli animi cantando allegre storielle.."Io vorrei che nella luna ci s'andasse col vapore per poter far all'amore con le donne di lassu'..ecc" E cosi' finiva la serata ma quando sentivamo le note della fanfara che si allontanavano subito tornava la nostalgia è la voglia di rivederli presto. insomma eravamo poveri e affaticati ma uniti nella semplice gioia di questi momenti condivisi quasi ogni domenica sera. Grazie Anna

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