Seravezza: la città dove si incontrano, al Puntone, due fiumi, il Serra che scende dalla valle dell'Altissimo, il Vezza che proviene dallo Stazzemese. Alla spicciolata può sembrare che il nome derivi da questo connubio, ipotesi smentita da una colta etimologia che rimanda a un sala vetitia dal sapore longobardo: “struttura organizzativa della proprietà terriera”, dunque, a cui fanno eco Riomagno, il borgo confinante sul Serra, presidio erimanno, postazione dei nobili e non “grande ruscello” e, più in alto Azzano, che sempre sul filo dei barbari “dalla lunga lancia”, deriva il suo nome dalla stia, la gerla per trasportare il raccolto del prato. E gli Azzano d'Italia in nome di questa ascendenza hanno stretto da tempo un sodalizio e un gemellaggio. Ma questa è un'altra storia, torniamo al punto e al capoluogo, scendendovi come, puntulamente ogni lunedì, giorno di mercato, vi scendevano un tempo le donne della montagna, ed anche qualche uomo, per rifornirsi di viveri e di oggetti non reperibili nelle botteghe paesane. Finito il giro fra i banchi, riempiti sporte e fagotti, gli uomini, prima di risalire, si concedevano una sosta alla bettola o in trattoria, le donne una visita al Duomo, una chiesa imponente, articolata all'interno, ricca di altari, di marmi, di arredi preziosi, di fiori e di lumi. In quella visita una era la meta più agognata: la cappella in fondo a sinistra, dove inginocchiarsi per pregare davanti al quadro, celato, della Madonna del Soccorso, una Madonna miracolosa, una devozione non scalfita ma forse accresciuta dal velo e dalla rara opportunità di ammirare il dipinto. Ne ripercorriamo la storia adesso che l'immagine non si nega più ed è sempre visibile nella cornice che un abile artigiano forgiò con i metalli degli ex voto e vi incastonò le gemme preziose di anelli, collane, bracciali, gioielli mondani donati dai fedeli alla Madre Celeste. L’icona della Madonna venne portata a Seravezza all’inizio del Seicento da Giovanni Guglielmi, un mastro organista di famiglia agiata che si recava spesso a Roma dove ebbe modo, religioso e devoto come era, di ammirare in Santa Maria in Vallicella sia la Madonna raffigurata in un affresco ritenuto miracoloso sia quella realizzata su lastra di ardesia dal famoso pittore Pieter Paul Rubens. E su lastra di ardesia è anche la sacra immagine di Seravezza che il Guglielmi collocò all'esterno della propria dimora in Valluccio, una rione sulla riva destra del Serra. E fu la Madonna del Valluccio, in casuale, ma forse non tanto, assonanza con la Vallicella romana: “Ora pro nobis Beata Maria in Valluccio”, “Ora pro nobis Beata Maria in Valicella” , così le due iscrizioni a corredo. Nel 1626, su richiesta della Confraternita del SS.Sacramento di cui faceva parte anche il Guglielmi, l'icona venne trasefrita in Duomo e ben presto fu oggetto di ardente venerazione, complice anche la peste di manzoniana memoria che nel 1631 imperversò in zona. Fu allora che i seravezzini, riponendo ogni speranza nella devozione, la ribattezzarono “Madonna del Soccorso”. A metà Ottocento di nuovo un flagello: un’epidemia di colera. Per la prima volta la sacra icona venne portata in processione e si implorarono grazie, commovente l'invocazione di un ex voto del 1854 : “Dal morbo d’Asia allontana il periglio. Amiamo la madre e rispettiamo il figlio”. Sullo sfondo è dipinta la Madonna sospesa in cielo sopra Seravezza. Quattro anni dopo, l'11 luglio 1858 “ nella Chiesa di San Lorenzo Martire in Seravezza, sfarzosamente addobbata e illuminata, s'incoronò la Sacra immagine di Maria SS. del Soccorso per le mani di quel santo apostolo che fu il Cardinale Cosimo de' Marchesi Corsi Arcivescovo di Pisa.” Così il 17 aprile 1929 don Ernesto Binelli che raccolse in un' esile preziosa pubblicazione notizie e memorie del culto. La cerimonia del 1858, è sempre il Proposto Binelli la nostra fonte, riaccese il fervore nei confronti del culto e la Confraternita del SS.Sacramento, da sempre curatrice del medesimo, fece proposito di impegnarsi per garantire che la venerata immagine fosse custodita in una Capella degnamente addobbata. Del resto anche un'autorevole fonte, Padre Francesco Donati, aveva osservato come, in terra di Versilia , la nudità delle cappelle stridesse nel confronto con la ricchezza di marmi delle montagne: “Tante Cappelle soglionsi per lo più vedere straricche di marmi anche in terre da noi lontanissime; e noi nell'abbondanza di essi lasciamo che ne resti così povera e presso di noi che nuda la nostra”. Le solennissime feste dell'Incoronazione avevano esaurito le possibilità finanziarie della Confraternita che, anche in accoglienza dell'invito del Donati, si adoperò per rimpinguare le casse e procedere all'opera fidando nella generosità del popolo di Seravezza. A meno di due anni di distanza, dal marzo al maggio 1860, fu così costruito con marmi bianchi l'arco grande all'ingresso della Cappella. A seguire, in un lungo lasso di tempo, furono rivestite di marmi l'abside e le pareti interne, eseguiti abbellimenti dall'artista Carlo Pellizzari, collocate le statue di S.Anna e S.Gioacchino, dono del Cav.Campana, arricchiti gli arredi con candelabri e commissionato a Roberto Cipriani un trono processionale. Fondamentale fu, per sostenere le spese, la generosità del Cav. Ruggero Henraux. Nel 1908 le feste del Cinquantenario di Incoronazione, che si protrassero per una settimana, ebbero inizio domenica 12 luglio e “ in quel giorno fece solenne Pontificale S.E. Mons. Ulisse Bascherini, vescovo di Grosseto” che, in quanto versiliese aveva assisitito, quattordicenne, all'Incoronazione.
I due conflitti mondiali videro la Madonna fatta segno di accresciuta attenzione e grande fu il sollievo quando i bombardamenti della seconda guerra lasciarono intatta la cappella, pur avendo mezzo distrutto il Duomo. Una foto del 1944, scattata all’interno delle macerie fumanti, tramanda una scritta tracciata da un dito incerto su una colonna polverosa: “Salve o Madre del Soccorso! Dei tuoi figli abbi pietà”.
Anna Guidi
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