A Cerreta si sale partendo da Riomagno o da Strettoia o dal Fontanaccio di Ripa. I due ultimi percorsi si snodano in salita fra selve di ginestre, pini e castagni; di curva in curva più ampia si rivela la distesa del mare e più popolata la pianura solcata dal fiume. All'arrivo, si apre davanti un'ampia terrazza sospesa sul mare: da un lato un chiostro di case, dall' altro una chiesa nitida contro l'azzurro delle acque e del cielo, più indietro, in un dolce avvallamento, un breve camposanto. Cerreta, che deve il suo nome ai boschi di cerri, vanta origini remote, attestate fin dal 4 settembre 954, data in cui il nobile Giovanni di Rodilando cedeva al vescovo di Lucca Corrado una selva in “Cerreta Maiore” ai piedi del “ Summo Monte”, il Folgorito. Il culto di San Nicola da Tolentino, canonizzzato nel 1446, fa supporre che Cerreta sia stata abitata da un gruppo di agostiniani che preferrono a Valdicastello e a Pietrasanta , un luogo adatto a eremitaggio e meditazione. L'oratorio, edificato alla fine del Seicento fu, fino agli anni Trenta del Novecento, alle dipendenze di San Martino alla Cappella, per poi passare sotto la chiesa dei Santi Ippolito e Cassiano di Strettoia, divenuta parrocchia a seguito del distacco ( 1 agosto 1930) da Santa Maria Lauretana di Querceta. La dipendenza dalla Cappella meglio si comprende se si sale quassù dalla valle del Serra, da dove è agevole risalire fino a Fabbiano e da lì alla Pieve. La costruzione della chiesa, amministrata nel 1883 dall'alfiere Pietro Lombardi di Cerreta, coincise con il popolamento del luogo, da Cerreta infatti era assai facile raggiungere le cave del Carchio e di Trambiserra e la possibilità di coltivare i castagni, che avevano soppiantato i cerri, permetteva, con l'allevamento, di integrare i salari. Le famiglie nel tempo si fecero più numerose: fra la prima e la seconda guerra mondiale a Cerreta vivevano oltre duecento persone. L'agricoltura contribuiva non poco alla sussistenza con la produzione di grano, patate, vino e farina di castagne che, seccate nei metati in loco, dovevano essere macinate a valle. Di mulini non c'era traccia data la mancanza di ruscelli o torrenti e anche l'acqua potabile era un problema: per attingerla e bisognava risalire verso il Col dell' Arancio. Per le altre necessità si raccoglieva quella piovana in bricchi e tinozze: erano le donne e le, cessata la tempesta, ad uscir di casa a prova, come la femminetta leopardiana, del cor dell'acqua della novella piova. Nei due secoli in cui il paese visse il suo massimo fulgore la chiesa e il prete furono punti di riferimento essenziali; don Francesco svolse anche le funzioni di maestro elementare in una parte della canonica, allora ampia, adibita a scuola. Ampia, allora e non oggi, perché la canonica, ricostruita due volte con la chiesa ( dal Genio Civile negli anni 1946-47 e negli anni Ottanta per volontà e impegno delle istituzioni locali e di un comitato spontaneo presieduto da Paolo Venturini), è adesso di dimensioni molto ridotte, al pari del campanile miniaturizzato in una alzata sul tetto. Fu il vento, poco dopo il primo ripristino, a scoperchiare al struttura e, correndo gli anni del definitivo esodo (l'ultimo abitante Giovanni Bonini morì il 6 agosto 1980), non si procedette a restauro alcuno. Dopo don Francesco, all'istruzione elementare provvidero i maestri, uno fra tutti, negli anni Trenta, il Santi. Quanto al parroco, morto don Francesco, da Gallena saliva a Cerreta a dir messa e per la cura delle anime, don Agostino Bachelli. E fu un altro parroco, di Strettoia stavolta, don Giovanni Dini, nativo di Buti, a scrivere una delle pagine più belle e tragiche della storia del paese. La scrisse di persona ed anche di penna, pubblicando nel 1997 “Vai anche tu, storie del tempo di guerra raccontate da chi le in prima persona nei territori versiliesi della Linea Gotica, durante gli anni 1941-45”. A don Dini era stata affidata dal vescovo Vettori, nel luglio del '41, la parrocchia di Strettoia, era quello il suo primo incarico, a cui ne avrebbe preferito un altro, quello di cappellano militare. Ma la risposta del vescovo“Vai anche tu a fare il parroco e fallo come si deve” stroncò la sua richiesta. Nel giugno del '44 dal comando tedesco fu intimato alla popolazione lo sfollamento e anche don Dini, si avviò verso Cerreta accompagnato dalla mamma e “con gli oggetti preziosi della chiesa, con il libro dei Battesimi e dei matrimoni, con tutto il necessario per la celebrazione della Messa, con al borsetta degli olii santi” . Gli sfollati erano numerosi, molti ospitati in canonica, ed erano anche disorientati. Don Dini prese in mano la situazione: “A tutti i gruppi assegnai un luogo dove accendere il fuoco per preparare qualcosa da mangiare e dopo mi recai in cerca di un gruppo di partigiani , che sapevo trovarsi poco sopra fra i boschi di Cerreta. Trovai il gruppo, feci chiamare il comandante ed ebbi un colloquio con lui”. Gli disse che riteneva più opportuno un impegno per organizzare la permanenza degli sfollati piuttosto che pensare ad atti di sabotaggio e a colpi di mano che potevano mettere in pericolo la gente. Fu così che nacque il “comune del Ciliegio”, dal nome della pianta presso la quale si tenevano le riunioni e sul cui tronco si affiggevano gli ordini del giorno. Vennero nominati Sindaco e Giunta, a don Dini furono affidate Assistenza e Beneficenza. Vennero scelti i forni per cuocere il pane e le donne che dovevano impastarlo, il posto per la macelleria e le ragazze addette alla distribuzione, stabiliti i turni delle donne che dovevano andare a Pietrasanta a ritirare, a nome del CLN, i generi alimentari, furono presi i provvedimenti per la pulizia e la disinfezione delle stalle dove alloggiare le persone, fu portata l'acqua in diversi punti e radunate le mucche per assicurare il latte a vecchi e bambini. Purtroppo ben presto la situazione precipitò e gli sfollati e don Dini dovettero sparpagliarsi in altre borgate, al Cerro Grosso, ai Metati Rossi e più lontano ancora. Il 6 luglio fu fatta saltare, con le case di Strettoia, anche la chiesa: macerie, paura, fame, feriti e morti. E non era finita, il peggio era ancora da venire. Sara' ancora don Dini, ad accompagnarci, nel prossimo numero, ad un altro appuntamento, a Sant'Anna di Stazzema. Intanto, a Cerreta immersa nel silenzio di un luminoso pomeriggio di ottobre, il ciliegio è nudo di foglie.
Anna Guidi
LUGLIO 1944 : UNA TUMULAZIONE STRATEGICA
Improvvisamente fui destato dal crepitio dei fucili mitragliatori. Pensai ad un rastrellamento dei tedeschi. Mi alzai in fretta, attraversai la chiesa di corsa e, appena uscito dalla porta, un partigiano mi mise in braccio una bambina ferita. Non ci scambiammo parole presi la bambina. Era la piccola Rita, che nel mese di giugno aveva fatto la Prima comunione. Sulla gambe della bambina correva sangue. Attraversai il prato e alla prima donna che incontrai ordinai di portarla dal dottore. Il dottor Colle si trovava in una casa più in basso sotto Cerreta. Tornai indietro e vidi due tedeschi a mani alzate, che venivano accompagnati da partigiani col mitra spianato. Un tedesco morto veniva nascosto nel campo di granturco. Non ebbi bisogno di chiarimenti Compresi subito la gravità di quanto era accaduto. Pensai al dramma che sarebbe potuto nascere se il Comando tedesco, che si trovava sulla Piazza di Strettoia, fosse venuto a conoscenza degli avvenimenti. Chiami quattro giovani: Giannino, Orfeo, Lori e un altro, di cui non ricordo il nome, e li mandai casa per casa, tenda per tenda, a ordinare che entro un'ora Cerreta doveva essere sgombrata. Uomini, donne, bambini: tutti dovevano sparire perché era in pericolo la loro vita............................................
La morte della piccola Rita salvò noi da una morte sicura. Se io fossi stato insieme a giovani sulla cima del monte di Ripa, anche per me e per i miei giovani ci sarebbe oggi una croce ricordo. I giovani furono poi rilasciati. Seppi da Giannino che i tedeschi, rastrellando per le case, trovarono un gruppo di persone che non avevano seguito il consiglio di lasciare la zona. Il gruppo fu portato nella chiesa. Ogni persona fu minacciata, messa al muro davanti ai fucili spianati: ma tutto quello che poterono dire si limitava al fatto di aver visto dei tedeschi con le mani alzate, portai via dai partigiani verso le alture delle montagne. Nessuno era a conoscenza del tedesco morto e nascosto nel campo di granturco. Mi era stato detto che per il sentiero verso al cima del Folgorito era stato ucciso un pastore che faceva parte della comunità parrocchiale di Strettoia. Si vedeva raramente, viveva tutto solo con le sue pecore, sordo spaccato. Aveva un carattere piuttosto difficile. Nessuno seppe dire le ragioni della sua morte. Dissi a Giannino. “Domattina troviamoci a Cerreta in casa di Giovanni. C'è da fare un lavoro molto importante. La mattina del 15 luglio di buon'ora ci trovammo in casa di Giovanni. Era presente anche suo figlio. Ci recammo dentro il piccolo cimitero . Insieme cominciammo a scavare e, in breve tempo, riuscimmo a scavare una buca assai profonda. Fatta la buca, dopo esserci assicurati che nessuno ci osservava, in tutta fretta andammo nel campo del granturco, prendemmo il tedesco ucciso, svelti lo portammo nel cimitero e lo calammo nella fossa. Fu coperto con un bello strato di terra e quindi andammo a prendere il pastore. Fu calato nella stessa buca che, con cura, fu ripiena di terra. Recitata una preghiera, ci allontanammo soddisfatti per aver fatto, a rischio della vita, un'opera buona e per aver cacciato dalla mente l'ombra di una tremenda vendetta se il comando tedesco avesse scoperto il cadavere.
Nel piccolo cimitero restano ancora le reliquie del dramma che si svolse a Cerreta quel 12 luglio 1944 e che segnò la fine di quel “Comune del ciliegio”, che era nato con tante belle speranze in un momento tanto triste per la frazione di Strettoia e per tutta la Versilia
Don Giovanni Dini
da “Vai anche tu”, edizioni Vicariato Versilia Storica, luglio 1997
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