Nel momento in cui l'attenzione ai beni comuni ed agli usi civici si fa, per una complessa serie di motivazioni, più avvertita, è utile recuperarne senso e significato andando ad attingere alle fonti scritte che, pur tardive rispetto alla nascita del fenomeno, sono tuttavia depositarie della cultura del contesto in cui nacquero.
Relativamente alle Apuane, a partire da secondo millennio a.C., come afferma il prof. Giorgio Pizziolo in ”I paesaggi delle Alpi Apuane”, la configurazione del paesaggio si è strutturata in stretto rapporto con la morfologia del territorio e l'organizzazione della maglia insediativa. Se, con ogni probabilità, attorno al singolo villaggio si estendevano le colture orticole arboree ed arbustive di proprietà privata, in posizione centrale rispetto ad ogni gruppo di vici, ed appartenenti ad ogni singolo pagus, erano invece localizzate, nelle aree di fondovalle e sulle prime pendici collinari, le terre comuni dove, a rotazione, venivano praticate le colture cerealicole e le attività pastorali. Dalle aree di coltura, attraverso i debbi, si passava alle macchie in cui dominava il leccio e, più in alto, alle selve dove abbondavano querce, cerri e carpini.
In queste porzioni di territorio, di pertinenza di ogni singolo pagus, chiamate compascua, terre di confine fra le diverse realtà insediative, venivano esercitati continuamente il pascolo e gli usi comuni di legnatico, di caccia e di pesca. Non di rado i compascua situati nelle zone più in alto, erano intertribali, destinati all'uso promiscuo di più pagi e frequentati soprattutto in estate, quando i prati più in basso inaridivano.
I compascua intertribali svolgevano un' importante funzione sociale di incontro fra popolazioni di versanti diversi costrette a stabilire regole di uso collettivo, caratterizzate non di rado da liti e controversie.
Alcuni versi di Carducci, da “Il comune rustico”, disegnano adeguatamente questo aspetto.
“....il consol dice, e poste ha pria le mani
sopra i santi segnacoli cristiani:
ecco, io parto fra voi quella foresta
d'abeti e pini ove al confin nereggia.
E voi trarrete la mugghiante greggia
e la belante a quelle cime là.
E voi, o figli, l'aste, ecco le spade,
morrete per la vostra libertà.-
…......”
Ed è alla “rustica virtù” chiamata in causa dal poeta al dodicesimo verso che toccava di elaborare le “normative” non scritte per la gestione delle zone comuni relative anche alla viabilità, alle modalità di semina falciatura e raccolto, alle funzioni di controllo e sanzionamento.
Nello Statuto dei Beni Comuni di Pruno e Volegno del 1523, come vedremo più avanti, le pene pecuniarie sono precisate tanto dettagliatamente e puntigliosamente che non si fa fatica alcuna a credere che venissero applicate e riscosse.
Tocca agli Estimi, agli Statuti e ai Regolamenti codificare in forma scritta, molto più avanti nel tempo, regole ed usi tramandati oralmente e condivisi attraverso la prassi quotidiana.
L' analisi di alcuni documenti che riguardano la realtà di Pruno e Volegno chiarisce il contesto in cui le “comunanze” nacquero, si strutturarono e si riconobbero dimensione culturale sociale economica e politica per eccellenza, realtà imprescindibile per vivere e sopravvivere allora, patrimonio da tutelare oggi.
Il concetto di “comune” deve essere ripensato alla luce della globalizzazione che insiste su una “condivisione” equivalente a massificazione consumistica, logica che disprezza i diritti delle comunità originarie in quanto interessata a percorrere unicamente gli interessi di un mercato gestito dalle lobby economiche finanziarie politiche.
Il recupero di una “comunanza” che difende i valori specifici, le peculiarità e le ricchezze di un territorio e di una popolazione risponde alle esigenze della tutela in termini di sostenibilità e di qualità della vita. La cementificazione selvaggia, i dissesti idrogeologici, la distruzione dei paesaggi e delle economie sostenibili locali trovano un contrappunto e una soluzione nel recupero di una dimensione di gestione collettiva dal basso di beni che tali sono per natura.
I paesi di Pruno Volegno e Cardoso furono gravemente colpiti e danneggiati nei beni materiali e negli affetti dall'alluvione del 19 giugno 1996.
Se la quantità di pioggia precipitata ebbe il suo peso nella tragedia, vero è che altrettanto peso e forse di più ebbe l'incuria del bosco: i tronchi di castagno ripuliti come scheletri trascinati dai torrenti sventrarono le case, formarono dighe, macinarono argini.
Ripensare e recuperare una gestione collettiva dei beni comuni, mantenendosi fedeli alla vocazione originaria, è il miglior modo di fare prevenzione.
Passando alle carte di archivio, apre la scena il notaro “Domenichus olim Iacomelli ” a cui tocca stendere nel 1407 l'Estimo delle terre del Comune di Volegno e di Pruno della vicaria di Pietrasanta , distretto di Lucca. Il libro che si apre con la formula “ Adiutorium nostrum in nomine Domine qui fecit cellum et terram “ riporta in due pagine finali l'elenco dei beni del comune di Volegno e Pruno, consistenti in selve, prati, boschi. Si leggono toponimi ancor oggi in uso: Cupigliaia, le Panie, monte Alto, Farneta, Cardoso, il Foro, Terinca, Ratignano ed un “ ad medium pontis lapidis statemensis” .
Il valore dei beni è stimato in 1.012 libbre e 15 bolognini.
Il secondo documento è lo “ Statuto di Pruno e Volegno” del 6 maggio del 1523 , secondo l'indizione fiorentina, rogato per mano di ser Niccolò di Francesco di Modesto da Prato al presente Cavaliere del Magnifico Capitolo del Comune di Pietrasanta.
Lo strumento illustra eccellentemente la cultura da cui i beni comuni si originano e sostentano e le finalità a cui tendono.
Sei sono gli uomini “eletti e deputati dalli homini del Comune di Pruno e Volegnio a componere ovvero riformare li hordini di detto Comune per utilità e onore e diffensione di detto comune”.
Tre rappresentano Pruno: Iacopo di Francesco, Simone di Giovanni e Paolo di Cristoforo; tre rappresentano Volegnio: Antonio di Gian Salvatore, Bartolomeo di Antonio e Giovanni di Lunardo.
La prima regola che viene imposta riguarda il “Lavorare Le Festi”, i sei uomini, appena nominati , ordinano che qualsiasi uomo lavori nei giorni di festa comandati sia accusato e paghi bolognini quattro. A seguire si prescrive che ciascuna famiglia non manchi di accompagnare i morti alla Chiesa pena l'obbligo di pagare quattro bolognini.
Infine si passa a norme che rimandano nello specifico all'uso dei terreni: è fatto divieto di “Accettare porci forestieri” o di vicinante a pascolare nei terreni comuni, nel caso accadesse devono essere pagati dieci soldi al mese per porco; anche per le vaccine, i muli e gli asini , se bestie forestiere lasciate pascolare nei terreni comuni sono formulati divieti e sanzioni in denaro, idem per le persone forestiere che raccolgano legna, erba e fieno. La chiamata in giudizio e le ammende riguardano anche gli abitanti di Pruno e Volegno che arrechino danni alle terre; sono dettagliate anche le modalità di tagliare o diramare o scorzare alberi o metterli in fuoco, di accendere fuochi per fare il carbone, di scorzare cerri o querce, di appropriarsi di piastroni, di rapportarsi correttamente agli officiali e questi ai sindaci; di seguito si stabiliscono i salari, si regolano il pascolo a Mosceta e la bandita dell'Alpe, si fa divieto di buttare “ bruttura alcuna” davanti casa propria ed altrui e nella strada comune, si obbliga a spendere per gli interventi comuni senza danno e dissipazione, si obbliga a tenere netti i condotti di acqua nel Casale, si determinano le cifre da pagare per attivare mulini, fucine, folli di panno, e dazi per la costruzione di case e di capanne.
Gli articoli in cui si dipana il documento nulla tralasciano o trascurano, sono stesi in modo puntiglioso, spesso ricorretti e non organizzati con un filo logico, come se ogni prescrizione scaturisse dall'esperienza maturata sul campo.
Il terzo documento esaminato è datato 22 ottobre 1916. Il processo verbale è redatto dal Dottor Attilio Piccinini, Notaro in Seravezza, iscritto presso il collegio notarile dei distretti riuniti di Lucca e Castelnuovo in Garfagnana. La formula di apertura invoca Vittorio Emanuele Terzo Re d'Italia per grazia di Dio e per volontà della Nazione. Nella sala della Compagnia del SS. Sacramento annessa alla Chiesa Parrocchiale alle ore dieci e trenta si riunisce la Commissione dei Beni Comunali di Pruno e Volegno , convocata a seguito della morte del Mandatario generale signor Innocenzo Iacomini per deliberare le dimissioni presentate dai componenti e proporre ed approvare un nuovo Statuto o Regolamento. I comunisti presenti sono settantacinque ed approvano interamente lo statuto che era già stato approvato a maggioranza in una seduta precedente del 15 dello stesso mese ed anno.
All'articolo I° del Cap. I Origine , Sede e consistenza dei Beni, si recita: “ La comunità di Stazzema con atto 6 ottobre 1825 ai rogiti Guidoni, registrato a Pietrasanta li 8 ottobre 1825 vendeva a Matteo Magnani e ad altri, beni immobili contenuti nel Circondario dell'antica Comunità di Pruno e Volegno , fatto l'anno 1405, e già esistente negli atti dell'Archivio Pubblico della Repubblica di Lucca al foglio n. 5, quali beni si denominano Beni Comunali di Pruno e Volegno. L'articolo 2 indica come sede della Comunità il villaggio di Pruno; il successivo articolo riassume che i Beni Comunali di Pruno e Volegno consistono in boschi, prati, monti ed in eventuali depositi di capitale.
Il capitolo II riguarda l'Amministrazione, il capitolo III tratta delle adunanze e delle votazioni. Compaiono i ruoli di Camarlingo e Segretario. Approvato Lo Statuto si procede alle elezioni, risultano eletti: Franchi Massimo, Presidente, Vangelisti Roberto e Rossi Giuseppe, consiglieri. Il Rossi è riconfermato. Quindici dei comunisti presenti dichiarano di non poter firmare il documento perché illetterati.
Contemporaneo al nuovo Statuto un altro documento, originalissimo. Si tratta del Ruolo delle vaccine degli anni 1911 e 12 della società mutua d'assicurazione di Pruno Volegno e Cardoso.
Sono trentanove le vaccine assicurate, di ognuna di esse si indica se si trovano presso i proprietari o il tenutario e si specificano età e colore del mantello: mora, scura, bianca, martolata, brinata, rossa.
Scopo dell'assicurazione era mettere al riparo da un irreparabile danno economico nel caso di perdita dell'animale, essenziale per il sostentamento della famiglia. I periti decidevano, analizzato il caso, la misura dell'indennizzo che dipendeva dalle variabili dell'età e delle circostanze dell'incidente.
E' questo un ulteriore esempio di come le comunità si attrezzassero per assicurasi mezzi e garanzie.
Nei Libri di cassa degli anni successivi troviamo traccia di cause fra i Beni Comunali e il fallimento Pisani, nel 1936; nel 1943 si liquidano le spese al Presidente e a due consiglieri che si recano a Roma per un abboccamento con l'Ispettore, nel 1953 si registrano entrate per l'affitto della cava Montalto alla Ditta Eliseo Verona, nel 1957 la stessa cava è affittata all'Henraux e a Rossi Celso la Crepata, frequenti sono le entrate per il taglio di boschi ed anche le annotazioni di affitti non riscossi, riscosso invece nel 1986 l'affitto dall'Uoei di Pietrasanta e dalla Cooperativa lavoratori di Levigliani. E' del 1988 l'inserimento al punto 2 del verbale della seduta del 1 ottobre dell'argomento:” - Esame notifica del 27 settembre 1988 sul riordino degli USI CIVICI , nei quali, sembra risultare compreso una notevole porzione del territorio di proprietà della comunione”.
A seguire nello stesso documento, a firma dei consiglieri Migliorini Arcangelo e Guidi Erasmo, essendo il Presidente dimissionario, si legge : “Il riordino degli USI CIVICI sembra destinato a ridurre considerevolmente le proprietà della Comunione dei Beni dei Comunelli di Pruno e Volegno. “
Si entra così negli aspetti legislativi e politici più recenti.
Innanzitutto sono evidenti le consonanze fra beni comuni ed usi civici in quanto ambedue si sottraggono alla semplificazione alternativa fra proprietà pubblica e proprietà privata. Nella tematica dei beni comuni rientrano: la tutela della salute, la scuola, l'università, la risorsa acqua, la sicurezza del territorio. Essi rimandano a diritti fondamentali condivisibili da tutti i popoli del pianeta.
I beni di uso civico condividono con i beni comuni le finalità generali relative alla qualità della vita ma sono legati ad contesti locali, ad abitudini nate in risposta a necessità antiche ma non vecchie.
Se non è possibile parlare di proprietà per la tutela della salute, lo è per gli usi civici che si configurano come una proprietà vera e propria, al punto di essere trascritta nei registri immobiliari al pari della proprietà individuale. L'Estimo del 1407 ne è prova ben prima della più recente normativa. Tale proprietà in comunione fra diversi soggetti specificatamente identificabili, non è usucapibile, non è alienabile, non può circolare senza specifiche autorizzazioni, ha fortissimi vincoli di destinazione assai difficilmente modificabili. Sul piano storico viva è la consapevolezza che, se affidati al libero mercato ed anche se gestiti dallo Stato o dagli Enti Locali, i vincoli originari si estinguerebbero a breve.
La storia aiuta a focalizzare la questione: pur ritenendo che l'uso comune dei terreni affondi nella notte dei tempi, trovandone traccia anche nel diritto romano nelle res publicae, distinte in patrimonium populi e in publicu usu ( lasciate all'utilizzo collettivo, non appropriabili ed indisponibili ) è tuttavia indubitabile che del medioevo, in relazione all'istituto del feudo, ricevano un profilo più netto. Il feudo presupponeva, pur nella varietà delle situazioni, che alcuni territori ricompresi nei suoi confini , venissero lasciati in libero uso agli abitanti dei borghi che li usavano per raccogliere legna, erba, prodotti spontanei della terra e per il pascolo. Fisiocratici ed illuministi settecenteschi individuarono nelle strutture feudali uno dei principali ostacoli allo svecchiamento dell'economia. Feudi ed usi civici furono liquidati. L'illuminismo borghese non trovava confacente un costume che sostentava i più deboli. Del resto è noto che la rivoluzione francese non emancipò sanculotti e popolino, fu ucciso un re per offrire il trono ad un imperatore; sconfitti gli aristocratici, esercitarono il potere i ricchi borghesi e fu l'apoteosi della proprietà privata e dell'impresa. Esemplare il caso della Napoli di inizi Ottocento dove Giuseppe Napoleone prima e Gioacchino Murat dopo, incaricano David Winspeare, di sistemare i demani a spese degli usi collettivi, obiettivo raggiunto con il pronunciamento di ben 1395 giudizi. I principi elaborati da colti giuristi per la demanialistica napoletana hanno costituito il terreno in cui sono cresciute tutte le riforme degli assetti proprietari collettivi. All'eversione della feudalità non poteva accompagnarsi la totale cancellazione di opportunità di sostentamento per i più poveri che erano oltretutto espressione di ricchezza culturale e sociale. Pertanto alla gestione da parte delle comunità locali subentrò quella dello stato. Nel 1860, secondo lo storico Emilio Sereni, non meno dell'ottanta per cento del territorio italiano era in regime di uso civico. Con l'unità d'Italia ed il nuovo slancio dell'economia di mercato i territori cedettero a privati territori che in realtà non appartenevano loro.
Nel Sud Italia le amministrazioni comunali misero all'asta il patrimonio demaniale, sul quale contadini e pastori esercitavano gli usi civici, ne furono favoriti brigantaggio ed emigrazione. Anche il Lazio e le isole furono interessate dal processo di alienazione. Ai deboli tentativi di riforma agraria nel Sud, faranno seguito negli anni Venti la distribuzione ai contadini poveri di terre civiche sottratte alle comunità e la legge 176 giugno 1927, n. 1766, di rilievo costituzionale perché, sebbene varata durante il fascismo, compatibile con con i principi della Costituzione.
L'avvocato Licio Corfini, del Foro di Lucca, rappresentante del Centro Studi “Guido Cervati” di Seravezza ed esperto in materia di usi civici, osserva che la legge n.1766 impone la reintegra e restituzione a favore dell'originaria collettività delle terre che risultino abusivamente occupate e ciò “ a qualunque epoca l'occupazione rimonti” , senza che con il decorso del tempo si possano verificare prescrizioni, usucapioni e sanatorie. Sullo sfondo, sulla scena internazionale, la Convenzione n.169 dell'Organizzazione internazionale del lavoro (ILO) sui popoli indigeni e tribali stilata nel 1989 riconosce i diritti di proprietà di detti popoli e stabilisce che essi debbano essere consultati ogni qualvolta vengano varate leggi o progetti di sviluppo che possano avere un impatto sulle loro vite. Ratificandola i Governi si assumono formalmente l'obbligo di rispettarla. I boscimani si sono visti riconoscere la proprietà di ottantacinquemila ettari di terra ricca di minerali, usurpati da una società diamantifera, mentre nel Botswana è stata annullata la sentenza che negava ai nativi l'accesso all'acqua delle loro terre. In contesti diversissimi il fine è identico: tutelare la qualità della vita partendo dai “saperi” collaudati nel tempo. La recente tragedia di Rigopiano denuncia le conseguenze della trascuranza di tali conoscenze e saperi.
Per tutelare gli usi civici dei beni comuni sono state create la Amministrazioni Separate dei Beni degli Usi Civici, realtà amministrative diverse e separate dal Comune e dalle Frazioni, appositamente costituite per la gestione separata delle terre comuni su cui si esercitano gli usi, definite anche proprietà collettive. Il fine è la gestione e la valorizzazione, non soltanto delle risorse materiali, ma anche delle risorse culturali e sociali che la gestione stessa mette in campo.
I riferimenti normativi sono la legge 1766, il R.D.del 26/2/28 n. 332, la legge n. 278 del 17/4/1957 e le leggi regionali, per la Toscana la n. 27 del 23/5/2014.
Alle ASBUC potrebbe toccare l'onore di sperimentare un cambio di rotta, quel cambio necessario a rimanere persone e non individui programmati per il consumo, sassolini destinati ad essere stritolati dall'ingranaggio, protagonisti e non pedine.
Partendo da una riscrittura partecipata degli Statuti che non ne snaturi la vocazione originaria ma la reinterpreti, riorganizzando le modalità di gestione attiva dei territori da parte degli abitanti, individuando e realizzando modelli economici in funzione dell'uso civico, diversi da quelli delle affermate economie di mercato, valorizzando, ad esempio, la filiera corta e tutta una serie di proposte che maturano nei confronti della ruralità contemporanea, le ASBUC potrebbero diventare il volano per riscoprire e vivere i valori della partecipazione, della condivisione, del rispetto delle persone e dell'ambiente.
Ringrazio l'avvocato Licio Corfini per avermi fatto partecipe dei suoi “saperi” e per i materiali fornitimi.
Anna Guidi
Scarica le foto dei documenti ad alta risoluzione in PDF
08-02-2017 - 21:02:51 LE TERRE DI PRUNO E VOLEGNO NON SONO DI USO CIVICO MA DI COLORO CHE LE ACQUISTARONO E LORO EREDI NEL 1825 |
17-02-2017 - 15:02:52 Grazie Anna per questo interessante lavoro! |
18-02-2017 - 09:02:42 La vendita a Matteo Magnani con atto del 6 ottobre 1825, richiamata dall' articolo primo del documento del 1916, chiama in causa le leggi riformatrici del Granduca di Toscana Pietro Leopoldo I, in specie le disposizioni del motu proprio del 17 giugno 1776 che non aboliscono i diritti civici ma si limitano a predisporre un piano di affrancazione. La differenza fa la sostanza. |
21-02-2017 - 14:02:37 Il nostro prozio Maestro Polidori Pasquale ha dedicato molte energie e molto tempo alla storia dei Comunelli. Era un'autoritá in materia. Grazie Professoressa Guidi di trattare questo argomento poco conosciuto. |
22-02-2017 - 19:02:59 Articoli interessantissimi! Ho scoperto tantissime cose nuove! Non vedo l'ora di leggerne altri! Brava Anna, continua così! |
23-02-2017 - 19:02:27 Grazie Anna per questo ulteriore illuminante contributo. Come giustamente sostieni nel finale, la realtà storica, ma anche attuale di comunelli e usi civici è completamente da riscoprire come grande opportunità non solo per la salvaguardia e una corretta promozione del territorio, ma anche come occasione educativa a più ampio raggio sul fronte della condivisione; valore o, meglio, dimensione che secondo me oggi dobbiamo assolutamente riscoprire. Non come questione astratta - semplice valore, appunto - ma realtà concreta da promuovere e sviluppare in un tempo in cui spesso e volentieri sembra che venga meno anche lo stesso buon senso. E quanto ci sia da fare sui nostri monti (dico nostri perché li sento da sempre anche miei) lo vediamo bene ogni volta che piove troppo o il vento soffia più forte. Certo è utopistico pensare che le residui popolazioni montane possano riprendere in mano da sole una gestione ottimale dei proprio territori, ma non lo è ipotizzare sinergie con istituzioni e associazioni di volontariato. A Massa, del resto, grazie all'impegno e alla disponibilità di alcuni soci Cai pure i carcerati si sono mobilitati per pulire i sentieri. Anche così la montagna può tornare a vivere. |
01-03-2017 - 13:03:10 Abbiamo visitato i luoghi di cui lei parla. Adesso ne sappiamo di più. Gli archivi sono preziosi. Grazie professoressa. |
07-03-2017 - 22:31:00 Leggo con attenzione, affascinata e stupita dalla ricchezza dei dettagli e dalla puntigliosa ricerca dei particolari, il brillante articolo sui comunelli di Pruno e Volegno redatto da Anna Guidi. |
11-03-2017 - 11:10:00 Ho letto l'articolo e mi sono trovata ad immaginarmi di essere spettatore invisibile di quelle persone, di quei luoghi, come se la lettura fosse una scenografia di un film. Spesso la televisione propone serie tv o film storici, nel che raccontano del passato, storie di Signorie e Casati, la descrizione puntuale, dettagliata nei particolari, emersi da questo articolo hanno suscitato in me la sensazione di essere davanti ad un video dove si susseguivano le immagini proprio come in un film. |
15-03-2017 - 13:03:10 Complimenti Professoressa, riesce sempre a rendere la storia affascinante. Sarebbe bello visitare questi posti insieme a lei così da poter scoprire personalmente la storia delle nostre zone. |
06-09-2017 - 12:09:57 Conosco l'autrice dell'articolo fin da quando sono piccolo. La ringrazio per avermi trasmesso l'amore per le materie umanistiche e gli studi storici da coltivare ancor più nella fase storica attuale. L'articolo, partendo dal particolare, è un' acuta riflessione su una questione di carattere più generale: le terre comunitative e i loro utilizzi. Ti ringrazio Anna per continuare ad occuparti di Storia! |
12-02-2018 - 13:02:37 L'articolo mi fa tornare in mente quanto mio zio, il Maestro Pasquale Polidori, si sia speso ed abbia studiato a lungo per questa causa. Dispiace che si pensi di alienarli. |
Se desiderate lasciare un vostro commento su questo post del Balestrino compilate il modulo sottostante e fate click sul pulsante Invia
Istituto Storico Lucchese – Sez. “Versilia Storica”
e-mail: versiliahistorica@gmail.com
Privacy e Cookies